Consob contro le banche big «Non tutelano i piccoli clienti»

Molte delle grandi banche italiane non si comportano come dovrebbero nei confronti della propria clientela, soprattutto per quanto riguarda il delicato tema degli investimenti dei piccoli risparmiatori. La pugnalata è della Consob che, al termine di alcune ispezioni, ha imposto a Intesa Sanpaolo, Unicredit Banca, Monte Paschi, Banca Popolare di Verona e Bnl di convocare i rispettivi consigli di amministrazione per cancellare alcune zone d’ombra nelle politiche di vendita, allineandosi alla direttiva Mifid. La Commissione si attende una risposta in tempi ravvicinati. Se l’avvertimento, che rientra nell’attività di vigilanza preventiva prevista dal Testo Unico della Finanza, risulterà inutile, scatteranno le sanzioni.
Bnl e il gruppo Intesa Sanpaolo (questa volta il provvedimento tocca la controllata Biis) sono poi state bacchettate anche sul fronte dei derivati piazzati agli enti locali: anche in questo l’Autorità di Lamberto Cardia ha chiesto l’intervento dei board. La mossa sulla Mifid parte dal fatto che troppo spesso le politiche commerciali delle banche non sono calibrate sull’interesse dei clienti. A differenza di quanto era accaduto con Bipiemme, cui Consob aveva «intimato» di mettere ordine ad alcuni bond, questa volta l’Authority non ha tuttavia rilevato violazioni palesi. Per la prima volta la Commissione ha però deciso di diffondere i nomi degli «indiziati», con il risultato di trasformare il provvedimento in una sorta di «messa in mora» dei diretti interessati che da soli assorbono il 70% dell’attività di collocamento sul territorio nazionale. Le verifiche ispettive sono inoltre ancora in corso (dieci i gruppi coinvolti nelle prime verifiche sulla Mifid) e nei mesi scorsi erano già state riprese Banca Generali e Banca Network Investimenti.
Il nodo, al di là dei toni vellutati cui è costretta una istituzione come Consob, è il fatto che molte banche continuano a sfruttare tutta la forza di persuasione delle filiali su una clientela che pensa di essere di fronte a un consulente. Anche quando a prevalere è invece la spinta commerciale imposta dai vertici per centrare gli obiettivi dei piani industriali. Una zona d’ombra che rischia di sollevare conflitti di interesse soprattutto se lo sportello colloca prodotti propri, senza fornire le necessarie informazioni e senza valutare il profilo di rischio dei singoli clienti. Gli accertamenti - scrive l’Authority - «hanno evidenziato politiche commerciali in larga parte imperniate su logiche di prodotto anziché di servizio reso nell’interesse del cliente. «Questo approccio non è idoneo a contenere i potenziali conflitti d’interesse tra banca e cliente - prosegue il documento -. Il personale, infatti, può essere indotto a collocare i prodotti, spesso quelli sviluppati dalla casa, secondo criteri a budget, indipendentemente dall’adeguatezza degli investimenti per la clientela». Le indagini hanno poi riscontrato campagne commerciali su specifici prodotti finanziari finalizzate a «sostenerne la vendita» e a favorire il raggiungimento degli «obiettivi di budget». Per quanto riguarda i derivati i rilievi agli enti locali si sono concentrati inoltre sui derivati «over the counter» con finalità di copertura.

Qui il focus è stato messo sulla necessità che le banche monitorino le posizioni aperte per verificare l’effettiva funzione di copertura e per proporre, nel caso, anche eventuali interventi di ristrutturazione delle operazioni.

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