Cultura e Spettacoli

Così antico e moderno

È lui il campione di una «filosofia perenne», il vero eroe del rischiaramento, fatto di spirito critico, di dubbio liberale, tollerante e rispettoso della libertà di coscienza

Ettore Lojacono, il più grande studioso vivente di Descartes, ha curato un libro che, con la riserva che specificheremo, si può senz’altro dire monumentale, Socrate in Occidente (Le Monnier, pagine 338, euro 18,40). E ciò, nonostante si occupi della fortuna di Socrate limitatamente all’età moderna, cioè da Erasmo, Bruno, Cardano, Descartes, Diderot ecc. fino a Foucault. Monumentale perché, attraverso la disamina dei numerosi saggi della raccolta, tutti di grandi studiosi (Francesca Bonicalzi, Enrico Berti, Emmanuel Bury, Jean-Pierre Cavaillé, Laurent Jaffro, Tiziana Provvidera, Ettore Lojacono, Giulia Belgioioso, Mariafranca Spallanzani, Michaela Valenti, Karl Pestalozzi, Giuliano Campioni, Paolo Napoli e Franco Meschini), la figura di Socrate giganteggia, con la sua ricchezza e il suo mistero, in tutte le fasi della cultura europea moderna, pervadendole in modi tutt’altro che risaputi. Il libro nasce da un convegno tenuto a Lecce il 22-24 marzo 2001 sui «miti» di Socrate, La Sagesse contre l'Ecole, il quale è a sua volta la prosecuzione ideale di un altro, il Congresso Internazionale di Filosofia del 1937, il Congrès Descartes, in cui convennero, prima della diaspora causata dalla guerra, i massimi esponenti dell’epistemologia contemporanea.
Tutti i saggi sono interessanti, ma qui non possiamo che segnalarne pochi. Cominceremo da quello di Berti, che studia le fonti antiche di Socrate e fa quasi da premessa agli altri. Quello centrale, di Lojacono, ci porta nell’autunno del Rinascimento francese e studia la figura dell'honnête homme che, diversa da quella del dotto e del gentilhomme, si era andata affermando in quella temperie spirituale, nonché il grande influsso esercitato su di lui da Socrate, anche attraverso gli scettici francesi, Montaigne, Pierre Charron, Pierre Bardin e F. La Mothe le Vayer. L’immagine di Socrate appare assai adeguata a quella di questo uomo nuovo, fiducioso di pervenire al sapere con una ricerca personale indipendente da insegnamenti estranei e attenta all’esperienza quotidiana.
Particolare importanza hanno poi i saggi di Pestalozzi e di Campioni su Socrate e Nietzsche. Essi mostrano l’odio-amore, l’adesione-ripulsa di Nietzsche per il filosofo greco e tutti i rivolgimenti della sua posizione al riguardo, che vanno dalla massima distanziazione e quasi disprezzo per Socrate principe della décadence, all’esaltazione e alla quasi identificazione con Socrate eroe del rischiaramento. E tutto questo, fatto non già a cuor leggero, come si potrebbe credere, ma sempre con impegno e partecipazione profondi, e con motivazioni non meno che geniali. Ma proprio questa serietà e genialità, con cui i suddetti rivolgimenti non possono non cozzare, sono i simboli del difetto (per eccesso) che affligge non solo questi saggi ma tutto il libro (è questa la riserva a cui abbiamo accennato). Ben più consistente è invece il Socrate di Gabriele Giannantoni, grande studioso dello scetticismo antico e principe degli studi socratici col suo fondamentale Socratis et Socraticorum Reliquiae in quattro volumi. Nel suo libro, Dialogo socratico e nascita della dialettica nella filosofia di Platone (Bibliopolis, pagg. 512, euro 60), punta proprio sul Socrate storico, che si ricava dai dialoghi giovanili di Platone, i cosiddetti dialoghi socratici, per far risaltare l’originalità e la «prepotente statura intellettuale» del grande discepolo. Questa si sviluppa infatti, come sempre nei discepoli originali, da un’originaria, appassionata adesione, che però nulla può contro i fatali sviluppi in contrario occasionati proprio dalle idee del maestro. Dall’amore nasce così la discordia, dall’identificazione il distanziamento. «Tristo l’allievo che non supera il maestro», aveva detto Leonardo. E Nietzsche: «Si ripaga male il maestro, se si resta solo un suo allievo». Accadde con Socrate e Platone, ma anche con Wagner e Nietzsche, e accadrà anche sempre con tutti i discepoli destinati a superare i maestri. Solo che il superamento, in questi casi, è, più che un superamento di un individuo da parte di un altro magari più dotato, un superamento di una posizione storica da parte di una successiva che è il portato dell’epoca, filtrato naturalmente da una nuova mente. Questo libro di Giannantoni, pubblicato otto anni dopo la sua morte a cura del discepolo Bruno Centrone, che vi ha premesso anche una prefazione, è, sotto le apparentemente pacate argomentazioni che lo sostanziano, il drammatico incontro-scontro dei due massimi geni filosofici dell’antichità.
Dunque esso rappresenta il titanico duello, involontario, tra i due giganti che, insieme al loro completatore Aristotele e al loro ultimo sintetizzatore Plotino, hanno segnato per sempre il cammino della filosofia in Occidente. Questo duello sorto dall’amore sta comunque a significare anche un’altra cosa, che vale altresì per il libro curato da Lojacono: per il dinamismo dello sviluppo filosofico e della storia in generale, non può esistere una posizione sola, ce ne vogliono sempre almeno due, contrastanti e complementari. Dato un Socrate, ci vuole un Platone. Dato un Montaigne, ci vuole un Descartes, dato un Wagner, ci vuole un Nietzsche (anche: dato un Catone, ci vuole un Cesare). In altri termini, tutto ciò che è fluido e senza forma, è destinato ogni volta a solidificarsi e ad assumere una forma, a seconda del tempo e del luogo, forma che però invecchia, mettendo capo a una nuova fluidità che darà luogo ad altre solidificazioni. Platone superò Socrate, superandone lo scetticismo che approda al sapere di non sapere con un vero sapere, con la dialettica e l’episteme; trasformò i concetti socratici in idee, ampliandone l’orizzonte e facendo della dottrina delle idee il fulcro di una vasta costruzione metafisica, gnoseologica, psicologica, cosmologica ed etico-politica. Ma per Giannantoni anche la grandiosa visione platonica va relativizzata. «Infatti, nella misura in cui Platone prende coscienza di inevitabili contraddizioni e cerca di superarle, le sue risposte non potranno non essere disarmate e vulnerabili di fronte a un rinnovato, implacabile interrogare socratico».
Va dunque notata questa differenza: ciò che è fluido e non ha forma non ha neanche tempo, ciò che si è formato sì, e come tale è destinato all’obsolescenza. Per esempio, si può e si deve ben dire di Socrate che il suo sapere di non sapere, la sua grande libertà di spirito, il suo puntare sull'uomo concreto, sull'incontro, sulla conversazione, sulle frasi giuste (ciò che aveva colpito Schlick), dunque la sua semplicità, si scontra con la grandiosità infinitamente complessa di Platone, sicché si può parlare di un prodigioso arricchimento e ampliamento, ma insieme di un regresso verso posizioni chiuse e dogmatiche. Il dialogo socratico cerca il consenso, l’accordo per dar valore alle singole verità, ponendosi in tal modo come una philosophia perennis, fatta di spirito critico, di dubbio liberale, di apertura, tolleranza e rispetto per la libertà di coscienza. La dialettica di Platone, invece, sviluppata sempre più a partire dai dialoghi di mezzo (Gorgia, Menone, Eutidemo, Cratilo) fino a quelli successivi, impone verità che costringono all'accordo. Nonostante la grande fede e forza con cui filosofa, Platone è meno forte, sereno e sicuro di sé di Socrate, è più impaziente e rivoluzionario, s'indigna e s'infuria, si fa autoritario e dogmatico. A una società aperta segue una società chiusa. La filosofia di Platone rimane abbarbicata al mito; quella di Socrate, pur austera nella concezione di fondo (con la purezza parmenidea della sua unificazione di vero, bello e utile, si eleva al di sopra della sofistica da cui trae origine), è quella stessa dell'uomo d'oggi.

Ma quella di Platone, pur datata, è anch'essa, come una delle facce cangianti dell'eternità, ben attuale.

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