Roma - Ventuno pagine per costringere Silvio Berlusconi al passo indietro. Ventuno pagine. Questa è la lunghezza del progetto di legge Franceschini sul conflitto di interessi uscito lunedì notte dalla commissione Affari costituzionali della Camera presieduta da Luciano Violante. Che ha sempre respinto le accuse di «killeraggio» provenienti dalla Cdl. Nelle pieghe del provvedimento si celano gli stratagemmi che, di fatto, obbligherebbero il leader della Cdl a dismettere le sue partecipazioni rilevanti nel caso tornasse al governo. Con buona pace della Costituzione.
Incompatibilità. L’articolo 10 del pdl Franceschini è ormai noto: chi ha un patrimonio superiore a 15 milioni di euro o controlla un’impresa in regime di autorizzazione o di concessione non può essere titolare di cariche di governo. Ma è l’articolo 12 (intitolato Separazione degli interessi) a chiudere il cerchio. L’Autorità di vigilanza sui conflitti di interessi, sentite la Consob e l’Antitrust, deve pronunciarsi sull’incompatibilità e risolvere la questione. Se si opta per il blind trust (definito come trust dove «il fiduciario-trustee ha la più ampia discrezionalità in merito alla consistenza qualitativa dei beni e i beneficiari ne possono avere solo una conoscenza quantitativa»), la nuova Autorità dovrà approvarne anche la legge regolatrice con facoltà di apportare cambiamenti in qualsiasi momento. «All’alienazione - recita il testo - si procede quando si tratta dell’unica misura possibile per evitare il conflitto». La spada di Damocle resta sempre pendente.
Il caso Berlusconi. Il comma 11 dell’articolo 12 sancisce che il blind trust «ha ad oggetto solo valori mobiliari». E qui inizierebbero i problemi per l’ex premier in caso di ritorno al governo. Silvio Berlusconi è proprietario di quattro holding (Holding Italiana Prima, Seconda, Terza e Ottava) che controllano il 61,13% di Fininvest. Quest’ultima, a sua volta, controlla il 35% circa di Mediolanum e di Mediaset nonché il 50,1% di Mondadori e il 100% di Medusa e del Milan. Nel blind trust andrebbero le azioni delle Holding Italiana che in quanto tali sono «valori mobiliari». A meno che il titolare della carica di governo non opti per l’alienazione parziale o totale dei propri beni con relativo conferimento a un trust (comma 12 dell’articolo 12). Una vendita che dovrebbe essere effettuata a prezzi di realizzo considerato che per le operazioni di alienazione la legge (comma 15) concede 4 mesi prorogabili di 3 se la «collocazione sul mercato risulti particolarmente difficile». Sette mesi sulle piazze finanziarie sono pochi per l’offerta di una decina di partecipazioni di controllo.
Vendita coatta. «Il blind trust è un istituto che consente la possibilità di affidare in gestione un bene scambiabile, ossia un bene fungibile come azioni quotate, titoli obbligazionari o quote di fondi di investimenti. Ma se si affidano in gestione azioni che rappresentano un valore economico come quelle di una holding non quotata, è una vendita coatta. E poi, il trust non sarebbe blind, cioè “cieco”, perché l’attività delle imprese controllate dalla holding sarebbe sempre alla luce del sole». Sono sufficienti queste parole di un autorevole esponente di un’autorità di vigilanza per comprendere come Silvio Berlusconi sarebbe fortemente penalizzato dal pdl Franceschini. E il Cavaliere ieri a Monza non l’ha mandato a dire: «La proposta di legge è anticostituzionale e antidemocratica. Il solo scopo è far fuori il leader dell’opposizione. Una legge per evitare che il leader dell’opposizione, che ha più del 50% dei voti, sieda al governo».
Limbo. L’accertamento del conflitto e l’invito all’opzione da parte dell’Authority congelano i diritti di voto del titolare nelle società partecipate (più del 4,99% nelle quotate, più del 20% nelle altre). Queste ultime dovranno convocare entro due mesi l’assemblea straordinaria per la revoca o la conferma degli amministratori. Una sorta di limbo che inciderebbe non poco sulla loro libertà di movimento. Con possibile pregiudizio per i piccoli azionisti.
Autorità costosa. Il pdl Franceschini costa 15 milioni di euro per il triennio 2007-2009. L’ammontare è stanziato per la nuova Authority di vigilanza sui conflitti. I cinque membri (due eletti dalla Camera, due dal Senato e uno di concerto tra i presidenti di Montecitorio e Palazzo Madama) costeranno 6 milioni nel triennio. Altri 900mila euro vanno alle consulenze, mentre 5,1 milioni sono stanziati per il personale (massimo di 50 assunti e 20 a tempo determinato), mentre 3 milioni sono destinati alle spese di funzionamento.
L’Autorità potrà avvalersi di un nucleo ad hoc della Guardia di finanza per sorvegliare i governanti, prerogativa che spetterebbe al Parlamento. A buon diritto Maurizio Ronconi (Udc) ha parlato dell’«ennesimo “baraccone”» per creare «nuove clientele» con «nuove assunzioni».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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