Un Nordeuro per gli Stati più forti, come Germania, Paesi Bassi e Austria, compensata dall’implicita svalutazione della moneta attuale, confinata ai Paesi più deboli, tipo Grecia, Spagna e Italia: ai più è sembrata una provocazione, quando, più o meno un anno fa l’ex presidente della Confindustria tedesca, Hans-Olaf Henkel, l’ha evocata per la prima volta. Ma oggi, sotto le luci impietose della crisi, la moneta unica mette in mostra tutti i suoi difetti: e l’idea di «sdoppiarla», in compenso, guadagna appeal. Soprattutto tra i Paesi considerati «virtuosi», Germania in primis: ma anche i nostalgici della lira colgono l’occasione per rialzare la testa e incassare qualche applauso. Allora, proviamo a immaginare che cosa succederebbe se l’idea venisse messa in pratica, con la creazione di un euro del Nord - praticamente il marco - e uno del Sud, praticamente la lira (o la dracma o la peseta, a seconda dei casi), che varrebbe, diciamo, il 20 o il 30% in meno.
Stiamo facendo una dimostrazione per assurdo, certamente: dal momento che l’opzione «doppio euro» non è prevista in nessuno dei trattati europei, che quindi dovrebbero quanto meno essere riscritti da capo. Il che, considerando la crescente litigiosità dei partner europei, non sembra faccenda da poco. A meno che non si voglia tornare ai tempi - non poi così lontani - delle dogane e dei dazi tra uno Stato e l’altro.
PRONTI VIA
Una replica del famoso changeover del Capodanno 2002: così sarebbe probabilmente il primo atto del nuovo corso, anche se meno macchinoso dell’originale, almeno auspicabilmente. Per rendere tutto più semplice, infatti, il cambio a uso interno tra Euro A ed Euro B, chiamiamoli così, dovrebbe essere fissato 1 a 1, preferibilmente ristampigliando con i nuovi valori banconote e monete attuali: il che servirebbe quantomeno a evitare la contemporanea e immediata messa fuori uso, con conseguenze devastanti, di tutte le postazioni automatiche che erogano o accettano denaro, dai parchimetri ai Bancomat.
I NOSTRI SOLDI
Poi, tutto sarebbe - almeno in teoria - abbastanza semplice: stipendi e pensioni sarebbero esattamente della stessa cifra. I cartellini dei prezzi, anche: ma solo fino a un certo punto. Dipenderebbe, infatti, da dove viene prodotto quello che intendiamo acquistare, se in zona A o B. Una Bmw, tanto per fare un esempio, potrebbe diventare proibitiva: mentre una borsa griffata, in quanto made in Italy, potrebbe quasi sembrarci un affare. Anche perché non richiede benzina (da comprare, naturalmente, all’estero). Quanto alle vacanze: Italia, Spagna e Grecia, scegliete voi.
RIMBOCCHIAMOCI LE MANICHE
Un vantaggio, a volerlo proprio andare a cercare, c’è: una marcia in più per il nostro export, che tornerebbe vantaggioso come ai tempi delle «svalutazioni competitive» della vecchia lira. Qualche azienda, oggi in sofferenza, potrebbe allora decidere di aumentare la produzione, e magari di assumere qualche dipendente in più. Certo, rimarrebbe sempre il problema del costo del lavoro: a meno che non sparisca di colpo tutta la concorrenza dei Paesi emergenti. Ma questa è un’altra storia.
ATTENTI AL PRESTITO
Il problema diventa serio quando si parla di contratti dove c’è un creditore e un debitore: a cominciare da quello che riguarda la stragrande maggioranza degli italiani, il mutuo. Ma anche il debito pubblico, cioè i titoli di Stato, buona parte dei quali è detenuta all’estero. Lo Stato si troverebbe, infatti, davanti a un bivio: o lascia immutati gli impegni finanziari o trasforma tutto.
Nel primo caso, dovremmo estinguere mutui in «vecchi» euro con stipendi nella nuova moneta leggera: fatica di Sisifo.
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