Non è un borghese annoiato in cerca di emozioni forti, ma semmai una sorta di monaco trappista dell’ideologia No Tav. Genuino nel salire come uno scoiattolo su per un traliccio, Luca Abbà è uno dei volti più noti della lotta all’Alta velocità in Val di Susa.
Racconta il sindaco di Chiomonte Renzo Pinard che la valle «è ormai un grande centro sociale» e Abbà, 37 anni, in quell’ambiente si dev’essere trovato da subito a meraviglia. Così dieci anni fa aveva scelto di vivere a Cels, una frazione di Exilles, «nella casa dove è nato mio padre e dove sono vissuti fino alla morte i miei nonni». La sua ragione sociale è tutta lì: la terra, quella in cui affondano le radici, vista come un patrimonio da difendere contro la speculazione avida, il capitalismo senza scrupoli, la ferrovia che, secondo la vulgata dei No Tav, distruggerà per sempre quel paradiso terrestre che è la valle. Contadino militante, Luca Abbà appartiene insomma all’ala anarchica del movimento, quella per intenderci che non accetta discussioni e mediazioni ma che nemmeno cerca il calcolo politico in tutta questa storia.
La sua voce, mandata in onda in diretta pochi istanti prima della caduta da Radio Black out, è quella di un barricadero convinto di poter tenere in scacco le forze dell’ordine e che ormai si è abituato al conflitto permanente, alla mobilitazione perenne, al sabotaggio sistematico dei siti Tav. «Sono arrivato qua e mi sono fiondato sul traliccio - racconta alla radio da lassù il militante - gliel’ho fatta sotto il naso un’altra volta... non so quanto potrò resistere, si stanno preparando i rocciatori con le corde per venirmi a prendere... ma io sono pronto ad appendermi ai fili dell’alta tensione... sono qua a dieci metri».
Orgoglio. Una gran voglia di beffare gli «sbirri». Una buona dose di spavalderia. Così il giovane è andato incontro alla tragedia. Siamo lontanissimi dai profili del Pelliccia e di altri manifestanti arrestati dopo il sacco di Roma. Studenti universitari di buona famiglia, sempre pronti a incendiare la capitale, come i barbari, ma altrettanto rapidi a chiedere scusa appena messi alle strette. E siamo pure lontani dagli estremisti con la felpa e il cappuccio acquartierati al caldo dei centri sociali.
Abbà è il contadino, «il coltivatore diretto che vive dei prodotti che mi fornisce la terra» e che la terra considera una riserva inviolabile, da difendere con le unghie e con i denti dagli assalti dei colonizzatori. Come se la cartolina della Val di Susa coincidesse con il Far West. E con un esproprio selvaggio da fermare a tutti i costi. «Sono arrivato qui per un sentiero tutto mio», spiega concitato prima di cadere dal traliccio, quasi a mettere in evidenza la sua scaltrezza valligiana.
Una forma di disobbedienza esercitata chissà quante volte, anche comprando un piccolo appezzamento di terra «anti-intrusione», secondo un modello assai popolare rilanciato da un magistrato ormai in pensione come Livio Pepino. Nel suo curriculum c’è una condanna a 1 anno di reclusione per il blocco dell’autostrada il 6 dicembre 2005. C’è un’assoluzione per fatti analoghi accaduti a Genova.
E c’è anche spazio per una vena melodica.
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