La domanda è una sola: perché un marchio d'immagine come Dolce & Gabbana non ha la minima idea di come si fa immagine in Cina? Se lo chiedono in tanti tra gli addetti ai lavori della moda e i businessman che hanno aperto o sperano di aprire proficue trattative d'affari con il Grande Paese. Pare infatti che gli errori commessi siano stati tantissimi prima, durante e dopo la clamorosa storia del mega evento di Shanghai cancellato dall'ufficio degli Affari culturali cinesi per le accuse di razzismo e sessismo lanciate sul web contro il brand. Gli esperti dicono che la prima e più grave offesa sono stati quei video fatti in Italia per attirare l'attenzione su The Great Show (così era stata battezzata la sfilata-spettacolo) e postati su Weibo, il Facebook cinese, oltre che sui social media dell'azienda e su quello personale di Stefano Gabbana. «Le bacchette per noi sono intoccabili», sostengono i cinesi di Milano criticando anche l'aspetto della modella e i troppi stereotipi della location. Stendiamo poi un pietoso velo sul doppio senso - più volgare che divertente - della battuta «è troppo grande per te?» pronunciata dalla voce maschile fuori campo mentre la modella è alle prese con un enorme cannolo. Insomma un disastro su cui poi si è inserito il problema delle pesanti offese postate sui social media di Dolce & Gabbana che dicono di avere subito un atto di pirateria informatica su cui sarebbe in corso un'indagine legale.
«Bisognava prima di tutto scusarsi e poi dire di essere stati hackerati», sostiene Francesco Sisci, uno dei più importanti sinologi al mondo, per anni corrispondente dalla Cina delle maggiori testate italiane, oggi editorialista di Asia Times e docente di politica europea all'università del Popolo di Pechino. «In Cina - continua - per questioni storiche sono molto più sensibili a certi argomenti per cui è facile incorrere in accuse di razzismo. Infatti la prima reazione a questa brutta vicenda è arrivata dalla gente comune. Poi è arrivato tutto il resto che certo non è poco».
Gravissimo, ad esempio, l'annuncio del ritiro di tutti i prodotti firmati D&G dalle piattaforme internet cinesi. «È un danno incalcolabile», spiega ancora Sisci. Infatti per alcuni prodotti di moda l'e-commerce in Cina vale il 90 per cento se non di più dell'intero giro d'affari. Inevitabile a questo punto ricordare che Dolce & Gabbana deve al mercato cinese un terzo del suo fatturato complessivo, che quest'anno ha raggiunto la cifra record per un'azienda privata di 1,3 miliardi di euro. «Potrebbero perdere anche molto di più», conclude il sinologo. Si teme infatti un effetto domino su importanti mercati asiatici come Corea e Giappone (anche loro mangiano con le bacchette) e poi non bisogna dimenticare che gli Stati Uniti hanno un debito enorme con la Cina. Come se questo non bastasse ieri il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Geng Shuang, a una richiesta di commento del governo sulla vicenda ha risposto: «Non è una domanda diplomatica e non lascerò neppure che lo diventi. Bisognerebbe chiedere alle persone comuni come si pongono davanti a questa faccenda».
Le risposte sono già arrivate sui social media dove vengono postate foto di cinesi che protestano davanti alle vetrine di Dolce & Gabbana (l'altra sera è successo anche in via Montenapoleone a Milano) oltre a una riedizione dei filmati incriminati con la ragazza che maneggia da vera maestra di bon ton le posate occidentali.
Inutile dire che a tutti piacerebbe saperne di più sulle reazioni dei due designer: Gabbana nei panni del cattivo come Harvey Weinstein e Dolce che secondo Dagospia avrebbe pianto come una vite tagliata nella sede del quartier generale dello show, ovvero il Grand Hyatt Hotel dove risiedevano le 200 persone dello staff portato dall'Italia. Gli altri ospiti, tra cui alcuni vip come Eva Herzigova, che avrebbe anche dovuto sfilare, stavano al Mandarin. Si dice che qualcuno sia rimasto lì. Per la sfilata di Miu Miu che, invece, si è svolta regolarmente.
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