Fa freddo, è per questo che si chiama inverno

Non piove, anche se il governo resta ladro. In compenso, fa freddo. Strano, no?

Fa freddo, è per questo che si chiama inverno

Non piove, anche se il governo resta ladro. In compenso, fa freddo. Strano, no? A inizio gennaio, poi, proprio quando ci si scalda per i saldi, per la ripresa del campionato, per gli aumenti delle bollette. Sul calendarietto da scrivania, Gennaio sciorina le sue monotone settimane ancora immacolate, senza pro-memoria, con sopra la riproduzione d'un acquerello da trattoria: una casetta sommersa dalla neve, e un omino che arranca lì vicino, con il cagnolino a fargli compagnia. Apri un po' la finestra per cambiare l'aria stantia che sa di libri vecchi, di matita appena temperata, di fumo, di sonno, di polpette messe a intiepidire sul calorifero. Guardi giù in cortile sperando, chissà perché, di non vedere nessuno, e restando come sempre deluso. Poi alzi gli occhi in direzione nord. Il vento ha lavorato sodo, durante la notte, spazzando il cielo in lungo e in largo, e alzando il sipario sul metafisico scenario delle montagne che fanno il verso a uno sfondo leonardesco. Richiudi subito, con un brivido che ti s'infila aggressivo sotto la camicia. A quanto saremo? Meno 3? Meno 4? È sufficiente per iniziare a piluccare questo inverno. Il solstizio è già un lontano ricordo, impacchettato e scartato come un regalo non fatto e non ricevuto, comunque accantonato. La suggestione, più che la pigra e intirizzita realtà, ti sussurra di giornate che tornano ad allungarsi, tipo il gatto che si affusola al rallentatore sul tappetino del bagno. Allora pensi che l'inverno se lo gusta al meglio chi non lo ama, chi vive l'altro solstizio, quello estivo, come l'inizio della fine, come il lento ma inesorabile scivolamento della ruota annuale nel fango del buio e della luce artificiale. Sono i boreali mediterranei, gli adepti del sole. Per loro (per te) l'inverno è il lungo sabato da passare con trepida pazienza, nella certezza che poi il villaggio leopardiano si risveglierà, rifiorirà in una calda domenica. Dopo la doccia, non ti fai la barba, non bevi il caffè, non esci sul balcone a salutare gli alberi che si graffiano a vicenda con i rami nudi.

Togli dall'armadio il maglione più pesante, il giubbotto più imbottito. Ti cali fin sulle orecchie il berretto di lana. Ed esci, accogliendo con piacere l'imparabile rigore del tempo. Che ad altri, infinitamente meno fortunati di te, porta la sconfitta della morte.

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