A ognuno il suo mestiere. Non chiedete a un commerciante la cura per il virus, ma neppure a un virologo di gestire un negozio.
La vita un po' alla volta si riprende i suoi spazi. Non la puoi ingabbiare in un algoritmo. È così, incerta, imperfetta, sfuggente, con i colpi a sorpresa e le fregature. Il virus non è andato via. Bisogna appunto conviverci. Non lo puoi fare se pretendi di racchiudere la vita in un protocollo. Come dice un vecchio oste, abituato a guardare la realtà a misura d'uomo, che ne sanno gli economisti di come si manda avanti un ristorante? No, non è qualunquismo. È sopravvivenza.
È il senso di quello che sta accadendo. Arriva il giorno della riapertura di ristoranti, bar, negozi, barbieri e parrucchieri, spiagge, alberghi e chiese. È la grande scommessa dopo mesi di clausura. Lo Stato, in questi mesi, si è affidato ai sapienti. Ci sta. Ogni cosa è illuminata. Ogni ministero ha il suo gruppo di consulenti: tecnici, esperti, scienziati, burocrati. Sono stati loro a indicare regole e divieti, a segnare metri e spazi di salvaguardia. I confini della vita messi in sicurezza. Lo fanno ancora adesso, ma a un certo punto sono stati quasi costretti a fare un passo indietro.
Quelli che dovevano riaprire hanno detto: scusate, ma così è impossibile. Non ce la facciamo. Tanto vale restare chiusi. È da qui che nasce il compromesso tra il governo centrale e il territorio. Le regole restano, ma sono meno perentorie, più flessibili, con un piccolo margine di manovra. I saggi hanno dovuto fare i conti con la realtà. È lì il confine. È lì che la vita ha rivendicato le sue ragioni.
Tutto questo svela una questione che nei giorni di quarantena è rimasta sospesa. Fino a che punto si può sterilizzare la realtà? Perché è quello che ci siamo illusi di fare. I tecnici hanno fatto il loro mestiere, ma presi da una fatica inumana sono scivolati verso una sorta di onnipotenza, forse perché inebriati dall'impresa o per eccesso di zelo. Fatto sta che hanno cercato di eliminare il rischio. Rischio zero.
È da qui che nasce l'ossessione di voler controllare tutto, ogni respiro, ogni passo, ogni singola situazione. Tutto ridotto a una simulazione, il mondo al tempo del virus come un laboratorio, qualcosa di virtuale, come l'epoca che stiamo vivendo. La gestione della pandemia finisce per diventare una sorta di videogame, dove per restare in gioco devi rispettare le condizioni della sfida. Chi si discosta viene punito come untore e nemico della collettività. Lo stesso discorso pubblico e politico trova le sue case ideali nelle piazze virtuali dei social network. Il resto diventa marginale, roccaforti in rovina di un mondo che non c'è più. È strano insomma come élites e masse finiscano per rinnegare la realtà. Tutti e due inseguendo la stessa chimera: dare e ricevere sicurezza.
Il mondo perfetto, però, è una bugia. È una promessa che nessuno può mantenere. Questo lo sa bene anche chi governa. Come ha detto il premier Giuseppe Conte, che nel discorso di ieri si è smarcato dalla visione delle tante task force: chiudere è facile, riaprire è la vera scommessa. Adesso davvero ci si gioca tutto. La minuzia delle regole nasconde infatti una paura: quella di fallire. Se va male, se l'epidemia torna a dilagare, di chi è la colpa? Di chi non le ha rispettate. Non dei «saggi» che le hanno scritte, ma dei cittadini sciagurati. Solo che quella foresta di divieti è praticamente impossibile da seguire. È ipocrisia. È utile al potere per cavarsela alla Pilato: te ne lavi le mani. La sapienza degli esperti è salva, la responsabilità ricade tutta su chi non è stato abbastanza intelligente da adeguarsi al modello virtuale. Troppo veri, troppo reali, troppo umani. Non ti puoi fidare di chi si affanna a sopravvivere. È un'anomalia. È gente costretta a sporcarsi le mani, a giocare a dadi con il destino giorno per giorno, a fare i conti con la propria imperfezione.
È qui l'inganno, tutto riapre e ti accorgi che quel modello di vita a cui dovresti abituarti è una finzione. Puoi lasciare uno spazio tra te e gli altri, mettere la mascherina, lavarti le mani, non affollarti, ma non puoi trasformarti in un automa. Non puoi cancellare l'umanità che ti circonda. Non puoi trasformarti in un numero all'interno di una funzione matematica o in un dato statistico controllato da un'applicazione.
Alla fine di questa storia l'umano si riprenderà il suo posto.
Lo farà improvvisando, scantonando, ricorrendo al mestiere, all'esperienza, alla vecchia arte di arrangiarsi. È così che i ristoranti torneranno a lavorare, le spiagge a ritrovare il senso della vacanza, i parrucchieri a fare la messa in piega. Tutti loro si prenderanno la responsabilità di tornare alla vita.
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