Cronache

"Foto e video hard? Da non fare mai"

I pericoli del revenge porn spiegati da un professionista dell'ingegneria informatica forense

"Foto e video hard? Da non fare mai"

Un ex calciatore, un vigile urbano, un personal trainer, un buttafuori: sono alcuni dei dieci indagati dalla Procura di Brescia nell’ambito dell’inchiesta sui video hot con protagonista una dottoressa della città lombarda. “Dieci indagati per questa bruttissima storia. Un numero che fa capire la dimensione del fenomeno”: parla con cognizione di causa Michele Vitiello, titolare a Brescia di un importante studio d’ingegneria informatica forense che coadiuva l’autorità giudiziaria nella lotta ai reati che si consumano in rete, ma anche nel reperimento di prove indiziarie che nella rete possono restare impigliate, ad esempio mail e cellulari.

È una tendenza inquietante Vitiello? Il revenge porn è un allarme sociale?

“I casi di revenge porn sono in costante aumento. Il mio studio ne affronta almeno 3 o 4 al mese. Chiaramente parlando di Lombardia la cifra va decuplicata. Direi che il caso Cantone è stata la spia che ha fatto emergere un fenomeno già esistente” (Tiziana Cantone, 31 anni, s’impiccò nello scantinato della sua abitazione il 13 settembre 2016. Il suo calvario era iniziato il 25 aprile 2015, quando l’ex fidanzato aveva diffuso un video hard che la vedeva protagonista).

Cosa rende così inquietante questo tipo di reati?

“Foto e video tra innamorati si sono sempre fatti. Solo che prima della rivoluzione digitale il ricatto era più ridotto nella sua potenza diffusiva. Ora condividere un video o una foto, anche ad altissima risoluzione, è un’operazione immediata e che incontra platee di pubblico anche molto vaste, sia numericamente che geograficamente”.

La storia di questa signora bresciana come inizia?

“L’avvocato della dottoressa, medico di 40 anni, si presenta a febbraio nel mio studio con un racconto da incubo. La sua assistita lamentava la diffusione on line di alcuni video, diciamo privati e riservati, destinati ad affetti individuati. Assieme ad alcuni fermo immagine di questi video. La signora si è accorta di ciò che stava avvenendo sulla rete quando ha iniziato a ricevere messaggi di uomini sconosciuti non solo dall’Italia, ma da tutto il mondo: Instagram, Facebook, Linkedin e persino sul cellulare. Parliamo di centinaia e centinaia di notifiche e sollecitazioni”.

Come sono risaliti al cellulare della signora?

“Chi ha diffuso i video ha fatto uno screenshot della signora in abiti succinti, la foto profilo di Linkedin con il cartellino medico con tutti i dati identificativi, compreso il numero di telefono. E anche la mappa Google dell’abitazione privata”.

E cosa è successo?

“Un attacco concentrico crescente e terrificante. Non solo sui social, ma anche nella realtà. Intendo dire di persone che hanno iniziato a stazionare davanti all’abitazione della signora e a bussare alla porta in diversi momenti della giornata. Semplici curiosi particolarmente sfacciati, ma c’erano anche fanatici”.

La signora ha una famiglia?

“Sì, è sposata e madre. Immaginiamo il trauma e lo tsunami che si è abbattuto su questa famiglia”. Il suo intervento in cosa è consistito? “Nel ripulire la rete da questi contenuti diffusi chiaramente contro la volontà della diretta interessata e, anzi, col solo fine di danneggiarne la reputazione e consentire che altri soggetti ne violassero la privacy”.

Questo ripristino della web reputation è andato a buon fine?

“Parzialmente sì. Ma è molto difficile rimuovere un contenuto diffuso in rete. Perché la fonte, cioè chi ha in mano video e foto compromettenti, può ripubblicarle in qualsiasi momento”.

E non si possono identificare queste fonti?

“Bisogna compiere specifiche attività investigative per risalire ai possessori del materiale incriminato e bloccare così la catena avvelenata. Ma non basta ancora”.

E cos’altro è necessario fare?

“Bisogna rivolgersi a valle, a ogni singolo sito e ambiente condiviso digitalmente che abbia pubblicato quei contenuti e chiederne la rimozione. Ma è un procedimento piuttosto lungo, richiede tempo. E intanto i contenuti proibiti continuano a essere diffusi. Una volta avviato il processo, la cosa può essere al massimo attenuata, ma mai eliminata del tutto”.

Qual è il consiglio per chi si scopre vittima di revenge porn?

“Non bisogna fare né video, né foto osè. Mai. Prevenire è meglio che curare, in questo caso è verissimo. Poi rivolgersi alle autorità competenti, in primis alla polizia postale che è il corpo dello Stato specializzato nella persecuzione di questo tipo di crimini”.

La vita di una vittima di revenge porn come cambia?

“La diffusione cambia molto. Il mio studio ha affrontato casi di rapporti amorosi che sono finiti nel rancore e in quel caso la diffusione di prove video e fotografiche di un tradimento extraconiugale sono finite ai parenti del coniuge traditore. Insomma, la cosa è rimasta tra le mura di casa. In questo caso del medico bresciano, la signora di cui abbiamo parlato poc’anzi, è a pezzi. E le sembra di non riuscire a vedere la luce in fondo al tunnel”.

La repressione delle leggi è sufficiente a scoraggiare i lestofanti del revenge porn?

“Chi si macchia di questo reato turpe a volte non ha la consapevolezza di essere un criminale come chi compie una rapina o tenta un omicidio. Ma, ad esempio, l’articolo 612 ter del codice di procedura penale (diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti) è molto chiaro in materia. Ma, ripeto, la cosa migliore è evitare alla fonte video o foto osè o hard. Formando già nelle scuole gli studenti a un uso responsabile della rete e dei contenuti video e fotografici”.

Secondo i dati diffusi dalla Direzione centrale della polizia criminale, 718 persone sono rimaste vittime in Italia di revenge porn dal 1° gennaio al 25 novembre 2020. Tra queste ci sono 581 donne, 98 delle quali sono minorenni, 518 italiane. Numeri che spaventano, soprattutto se incrociati con le platee di utenti nel mondo di alcuni social network e piattaforme per la condivisione di contenuti (ovviamente contenuti assolutamente legali nella stragrande maggioranza dei casi, per fortuna e anche grazie ai controlli crescenti operati dalle stesse piattaforme). Facebook ha 2 miliardi e 600mila utenti, Instagram oltre un miliardo, Linkedin quasi 600 milioni. Inoltre WhatsApp viene utilizzato da 1 miliardo e 600 milioni di utenti in 180 Paesi del mondo, TikTok da 2 miliardi di iscritti, molti giovanissimi, Telegram unisce 400 milioni di persone. Al di là delle cifre e delle statistiche ci sono donne vittime di questa pratica criminale (revenge porn, vendetta porno, una traduzione letterale che non rende giustizia alla dimensione criminale di questo fenomeno) che si sono tolte la vita, donne cadute in depressione o fuggite in cerca di una vita anonima, donne che hanno visto andare in pezzi la loro vita e quella dei loro familiari, donne che hanno perso il lavoro. Forse solo l’educazione sui banchi di scuola potrà formare i cittadini responsabili di domani.

Per il presente resta probabilmente la repressione penale, che però può arrivare quando ormai l’incendio è troppo esteso per essere domato.

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