«In Italia ci saranno duecentomila leggi diverse», diceva Francesco Carnelutti, uno dei più famosi avvocati e giuristi italiani. «Per fortuna sono temperate da una generale inosservanza». Una battuta felice. Che purtroppo, però, coglie solo uno degli aspetti del problema: il fatto è che non solo le leggi sono troppe, ma spesso sono anche scritte male, ben oltre i normali limiti della comprensibilità. Vittorio Barosio, docente universitario e avvocato torinese, cita ad esempio l'ultimo codice degli appalti, approvato nel 2016. «Ci sono almeno un paio di articoli di fronte ai quali ho riunito tutti i professionisti dello studio. Insieme li abbiamo passati ai raggi X, ma non c'è stato niente da fare. È proprio l'italiano che non funziona, nessuno ha un'idea esatta di che cosa vogliano dire».
Da questa non entusiasmante realtà è partita l'università di Pavia che, insieme a istituzioni come il Senato o il Consiglio Nazionale delle ricerche, ha deciso di organizzare il primo Master universitario di scrittura legislativa. Rivolto a giovani neolaureati ed esperti di discipline giuridiche, il corso, La lingua del diritto è la dizione ufficiale, sta partendo in questi giorni. A coordinare il Master è Dario Mantovani, docente nella stessa università: «Ci sono docenti di diversa formazione ed esperienza: giuristi, linguisti e filosofi del linguaggio». Dagli italianisti ai professionisti del diritto tutti dovranno dare il loro contributo verso un obiettivo: formare degli esperti di scrittura giuridica in grado di scrivere norme tecnicamente corrette e allo stesso tempo comprensibili. Al termine del Master i diplomati frequenteranno per un tirocinio di un paio di mesi gli uffici del Senato e per gli stessi motivi gli uffici legislativi della regione Lombardia.
ERRORI SU ERRORI
Basterà per cambiare marcia? Di sicuro può essere un passo nella giusta direzione ma le radici della cattiva produzione legislativa sono profonde e molteplici. E per questo difficili da estirpare. Un caso di scuola, ancora una volta, è il già citato codice degli appalti. A prima vista dovrebbe essere un esempio positivo, visto che obbedisce alla tecnica semplificatoria del testo unico e riunisce tutte le norme su una materia riducendo la necessità di interpretare i tanti provvedimenti che si sono affastellati nel tempo. «La legge è del mese di aprile del 2016», spiega Barosio. «Ma già tre mesi dopo ha subito 180 correzioni in larga parte formali, legate alle imprecisioni del testo. Poi, più o meno un anno dopo, sono arrivate altre correzioni, una sessantina, questa volta però sostanziali, che esprimevano valutazioni che evidentemente in precedenza erano mancate. Come è possibile?». Il codice è significativo anche per altre considerazioni. «La legge sugli appalti del 1977 è in tutto di 24 articoli», racconta Barosio. «Quella del 2006 ha dovuto tener conto, e lo capisco, della maggiore complessità legata anche alla normativa europea: gli articoli sono diventati 250, a cui si è aggiunto poi un regolamento di altri 250. Nella nuova legge gli articoli sono più o meno 220, ma alcuni sono di una lunghezza spropositata. L'articolo numero 3 ha per esempio 51 commi. E per ogni articolo bisogna tenere conto delle linee guida che sono in corso di emanazione, lunghe fino a 20 pagine. Insomma, una giungla».
Pesano a determinare risultati legislativi non brillanti, la fretta (la legge sugli appalti, scritta in applicazione di una direttiva europea, è stata approvata nell'ultimo giorno utile), la scarsa competenza tecnico-giuridica. Ma soprattutto, a determinare l'inflazione di norme è spesso un altro elemento: «Il legislatore, forse a ragione, non si fida della pubblica amministrazione», spiega Barosio. «Anzichè affidare alla burocrazia norme generali che poi dovranno essere interpretate e applicate, definisce una casistica minuziosissima. Così si finisce per paralizzare qualsiasi attività, senza nemmeno raggiungere lo scopo, visto che in astratto non si può prevedere tutto ma proprio tutto».
L'INERZIA DEI BUROCRATI
D'accordo con Barosio è Giuseppe, «Peppino», Calderisi, per lunghi anni esponente del Partito Radicale e poi, fino al 2013, deputato del Pdl: «La chiave è nel rapporto tra politica e amministrazione. L'iper-dettaglio normativo è la motivazione su cui si fonda la paura di sbagliare della burocrazia e la sua tendenza a non decidere mai nulla». Calderisi, considerato uno dei più grandi esperti italiani di regolamenti parlamentari, per spiegare le cattive leggi punta anche il dito su un altro aspetto: «Il livello della rappresentanza parlamentare è drammaticamente sceso. Più sono le polemiche anti-casta a farla da padrone e più il livello dei parlamentari si abbassa. Oggi l'attività delle Camere sembra dominata dagli urlatori, mentre le persone di qualità ci pensano dieci volte a impegnarsi. Anche per questo oggi i politici credono di controllare gli alti burocrati, mentre è ormai esattamente il contrario».
Le procedure per l'approvazione delle leggi non aiutano: «Siamo l'unico Paese al mondo a prevedere addirittura in Costituzione l'approvazione di una legge articolo per articolo. Il risultato è che è capitato di dare il via libera a leggi di un articolo con 2mila commi. Unità, omogenità e facilità interpretativa delle leggi vanno a farsi benedire».
Entro Natale, almeno al Senato, dovrebbe arrivare in discussione una modifica dei regolamenti che potrebbe rendere più fluida l'attività legislativa. Tra le proposte un maggior ruolo per le commissioni, i cui compiti di approvazione delle leggi potrebbero aumentare, e l'introduzione di efficaci corsie preferenziali per le leggi urgenti e prioritarie volute dal governo, anche per ridurre il ricorso ai decreti legge. Calderisi, però, è prudente: «Dico solo che il parlamento inglese non ha Commissioni permanenti, e che spesso quest'ultime sono la sede privilegiata per il manifestarsi di cordate di interessi. Per questo bisogna andarci piano. Quanto alle corsie preferenziali, pensi un po', erano tra i progetti di riforma presentati da Spadolini nel 1982».
GOVERNO PROTAGONISTA
Già oggi l'80% delle leggi approvate in Parlamento è frutto dell'iniziativa dell'esecutivo. Decisivo risulta dunque il ruolo dei capi di gabinetto e degli uffici legislativi dei ministeri interessati, che materialmente provvedono alla stesura dei testi.
«A volte accade poi che si sommino una pluralità di emendamenti, spesso non coordinati tra loro, e il fatto che per sbrigliare situazioni politiche complesse, si metta il voto di fiducia, che non consente modifiche», spiega Laura Tafani, responsabile del Servizio per la qualità degli atti normativi del Senato. «Il rischio maggiore è l'instabilità della legislazione. Modifiche che non permettono alla situazione di stabilizzarsi e che mettono a dura prova la certezza del diritto».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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