L'immagine è stata strausata in politica. Ma la gag «cult» del colloquio tra avvocato e cliente di Gigi Proietti cade a fagiolo con lo stile messo in scena in questa crisi dall'avvocato del popolo, Giuseppe Conte. Nella scenetta interpretata magistralmente dall'attore, l'avvocato disamina gli aspetti della causa con il suo assistente: nella conversazione, infatti, il legale intercala l'espressione «qui glielo mettiamo in quel posto» (l'espressione originale era più cruda) all'espressione, più rara ma pronunciata con tono greve, «qui invece lo prendi in quel posto». Tant'è che il cliente alla fine gli fa notare: «Avvoca ma quando lo mettiamo, lo mettiamo in due; invece, quando si prende, lo prendo da solo». Beh, a parte quella dose di volgarità che è un compendio della comicità, il premier in questa emergenza si comporta più o meno così: quando le cose vanno bene dà fondo al suo protagonismo; quando, invece, vanno storte o perché viene commesso un errore, o perché qualcosa va male, o perché c'è un imprevisto, individua sempre un altro colpevole o, addirittura, lo inventa. Un atteggiamento che ha fatto perdere allo stesso Matteo Salvini la fiducia sulla possibilità che il dialogo con il governo possa essere foriero di qualcosa di buono: «Conte vuole solo intestarsi i successi e distribuire le colpe».
Le ragioni sono molteplici, ma la principale, che discende dal suo fiuto di avvocato, è che il premier da qui a qualche mese non vuole ritrovarsi nei panni dell'«imputato» politico, e non solo. I rischi, infatti, al di là degli esposti presentati che sono diversi, ci sono. Ecco perché, nelle interviste e nelle sue uscite, come un azzeccagarbugli, Conte è attento a spogliarsi di ogni responsabilità, ripetendo una frase che sulla sua bocca ormai è diventata una litania: «Rifarei tutto quello che ho fatto». Il problema è che questa concessione al narcisismo, fa venire meno l'unica copertura ragionevole al suo operato, cioè che l'emergenza che stiamo vivendo sia inedita. Perché, se dopo averla conosciuta, il premier è pronto a ripetere ciò che ha fatto, anche gli errori che qualcuno ha addebitato all'inesperienza, o ha un ego smisurato, o, peggio, è un pericoloso irresponsabile.
E di errori ne sono stati fatti. È lui il primo a non negarli. Solo che, appunto, li scarica su altri, perché non vuole diventare l'imputato. Ad esempio, sui ritardi nella chiusura di zone del bergamasco come Alzano e Nembro, dove sta emergendo l'amara ipotesi che il numero dei morti per Covid-19 sia superiore a quello ufficiale, il premier si limita a dire che «la regione era libera di farlo». Dimentica di dire, però, che il balletto sulla chiusura della Lombardia (che il governatore ha implorato per giorni) è andato avanti dal 5 fino al 9 marzo: un ritardo fatale, perché l'escalation dei contagi e dei morti, avviene - mettendo in relazione il tempismo macabro del virus e il calendario - esattamente due settimane dopo. Oggi il premier ribatte: «Pensate se avessimo assunto misure restrittive e vincolanti per la popolazione quando ancora non avevamo scoperto i focolai». Sarà, ma intanto ieri siamo arrivati a 14mila morti. «Senza contare - osserva l'azzurra Laura Ravetto - che in Germania l'incidenza dei morti è dello 0,7%, da noi è del 10%». Quindi, almeno a posteriori, il premier dovrebbe riconoscere l'errore, invece, niente. L'imputato Conte si sceglie un solo giudice: la storia.
Appunto, nell'Italia dell'emergenza non ci sono responsabili. O, secondo la logica grillina, sono sempre gli altri. E, purtroppo, questo stile che non aiuta a far tesoro degli errori commessi per evitare di ripeterli, ormai ha fatto scuola. Il tentativo di distribuire i 600 euro fallisce perché va in tilt in sistema dell'Inps? Ebbene, il presidente dell'istituto, Pasquale Tridico, dà la colpa agli hacker, beccandosi l'ironia del più famoso manipolatore digitale nostrano, Anonymous Italia: «Ci sarebbe piaciuto moltissimo, ma avete fatto tutto da soli». O il comunicato della piattaforma erotica Pornhub a tarda sera: «Noi stiamo gestendo tranquillamente 400mila utenti: volete una mano?». E, malgrado ciò, Tridico è ancora lì.
E ancora. Ai medici impegnati in prima fila arriva una partita di mascherine inadatte? Il commissario Arcuri si limita a una telefonata al presidente dell'Ordine dei medici per informarlo che qualcuno ha falsificato il timbro ffp2, mentre la Consip tace. Oppure. L'Agenzia del farmaco prima dà l'autorizzazione all'utilizzo di un medicinale e una settimana dopo lo ritira. Motivo? Aveva dato istruzioni che fosse somministrato per endovena (con conseguenze fatali), quando, invece, doveva essere iniettato intramuscolo. Non basta. All'ospedale San Camillo di Roma salta il sistema per il test sul coronavirus: di chi è la colpa? Per l'amministrazione capitolina, ovviamente, è stato manomesso da ignoti. E poi c'è stata la rivolta delle carceri, 14 morti, ma il responsabile del Dap è ancora inchiodato alla sua poltrona. E anche nella Consob, che ha tenuto aperta la borsa nel lunedì nero di qualche settimane fa, mentre lo spread saliva e titoli precipitavano, nulla è cambiato.
Paradossalmente l'Italia dell'emergenza è diventata l'Italia delle impunità. «Lo stile Conte - ironizza l'azzurro Giorgio Mulè - ha inaugurato l'amnistia a priori». E anche l'ipotesi di una Commissione d'inchiesta che avrebbe molto da indagare e che dovrebbe trovare porte aperte nell'opposizione, più per pungolare il governo oggi che per individuare responsabilità domani, è restata, per ora, lettera morta. Solo che in una condizione in cui nessuno si sente responsabile di nulla, la situazione si deteriora. Ieri dopo due ore di discussione al vertice tra governo e opposizione, il ministro Gualtieri se n'è andato quasi seccato: «Mi avete fatto perdere due ore dietro a questioni di metodo». In realtà l'opposizione chiedeva risposte: inutilmente. «La verità - osserva Renato Brunetta - è che questo governo è troppo debole per fare accordi con l'opposizione. Ci vuole un governo forte per mettere in campo un accordo forte. E questo vale pure a Bruxelles: un governo del genere non va da nessuna parte, perché ci vuole - non parlo solo di governo o opposizione - l'intera classe dirigente unita per strappare in Europa quel che serve al Paese».
Il vero rischio per Conte, e per l'intera classe politica, è che alla fine errori, limiti e incompetenza, vengano a galla. Confessa il piddino Enrico Borghi: «Quando la curva dell'emergenza sanitaria che scende, incrocerà quella dell'emergenza economica e sociale che sale, allora si parrà la nostra nobilitate. E rischierà di essere spazzato via non il governo, ma il sistema».
Oggi il premier gongola su sondaggi di popolarità che potrebbero rivelarsi effimeri. Ma un domani, potrebbe ritrovarsi imputato davanti al tribunale della storia, a parafrasare una celebre battuta di Alberto Sordi mutuata da Petrolini dedicata alla guerra: «...a me mi ha rovinato l'epidemia!».
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