Perché la politica ha bisogno di qualche ombra

Eccesso di trasparenza

Perché la politica ha bisogno di qualche ombra

Chi ha eletto la trasparenza a nuova stella polare della vita pubblica italiana forse non è mai stato in una di quelle toilette moderne con le pareti tutte di vetro. Perché la trasparenza, come tutte le parole astratte di ampia e condivisa accezione positiva, in realtà non è un bene in sé. Tutto sta nel capire cosa occorre mostrare al mondo e cosa invece merita un alone di privacy che la tuteli. Una differenza che stiamo cominciando a perdere di vista.

Il gorgo di veti e rimpiattini che ha portato l'Italia a una paralisi da record di certo non si deve alle dirette via Facebook con cui Salvini relaziona i suoi elettori dai tetti della Capitale, e nemmeno ai tweet con cui Di Maio annuncia il premier incaricato prima del Quirinale. Però la generale ansia di spiattellare ogni mezzo abboccamento e ogni procedere della trattativa a sessanta milioni di italiani e - miracoli della Rete - contemporaneamente a 508 milioni di europei, non fa bene alla serenità della politica. Perché, anche se suona orribile e oscurantista e «la segretezza è l'arma della dittatura», la politica è fatta anche di ombre. Sane e benedette, soprattutto quando la situazione è bollente.

Rimpiangere le riunioni notturne a piazza del Gesù che stabilivano i fini confini della «strategia dell'attenzione» di Moro verso il Pci è dura. Avere nostalgia delle trattative fra repubblicani e socialdemocratici che scandivano morti e resurrezioni dei governi è impossibile. Quell'eccessivo manovrare in silenzio non portò cose buone negli anni Settanta. Però oggi la sensazione è quella di una deriva contraria e di un grande equivoco. Ovvero che la trasparenza dovrebbe garantire ai cittadini di conoscere ragioni e interessi dei loro governanti, i cui eventuali intrallazzi possono essere scoperti, raccontati e puniti. Teoricamente la stampa è fatta apposta. Al contrario, la trasparenza oggi è diventata una Go-Pro maleducata puntata sulle pudicizie del potere. E di questa perversione i grillini sono i padri putativi.

Lo streaming da bulletti con cui Grillo umiliò Bersani è stato l'inizio, in un crescendo di testimonianze rubate, frasi estrapolate e retroscena a metà sbattuti in piazza. I cittadini devono sapere tutto, perché chi conosce un segreto diventa padrone di una libertà. Sicché la prassi della riservatezza e della cautela è diventata un peccato mortale, una conversazione privata punibile come il tentato golpe De Lorenzo o Gladio. È una politica da radiologi miopi, talmente concentrati a mostrare gli ingranaggi da non accorgersi che le lancette dell'orologio sono ferme.

Se negli occhi si vede l'anima, per fortuna non si vede l'inconscio, che come un pesce sfugge ai pescatori nell'acqua meno pulita. Anche la politica ha un inconscio: è la mediazione, l'arte di trovare una quadra, un cedimento io e uno tu, un incontro protetto perché in quel momento tutti sono spogli e sinceri, senza maschere elettorali. Ostinarsi a fare carne da porco di quella minima segretezza indispensabile è una violenza masochista, non una nuova Glasnost.

Perché ci porterà ad avere non politici trasparenti, ma politici falsi e impostati dietro le porte chiuse come lo sono davanti alle telecamere. E noi finiremo come i piccioni, spiaccicati sui vetri di un palazzo troppo trasparente.

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