Coronavirus

Gli italiani soli contro il virus: "Noi abbandonati dallo Stato"

Più aumentano i giorni di chiusura totale più le famiglie italiane rischiano di trovarsi in ginocchio. Dopo l'emergenza sanitaria iniziano a farsi sentire anche i problemi di una conseguente crisi economica che minaccia di catapultare i cittadini nel vortice della povertà e moltissime associazioni stanno cercando di dare una mano alle famiglie.

Gli italiani soli contro il virus: "Noi abbandonati dallo Stato"

“Noi non moriremo di coronavirus, non moriremo, moriremo di abbandono istituzionale”. Ne è convinta Rita, mentre parla dall’uscio della porta del suo appartamento, in un palazzone vicino alla Prenestina, Roma. I volontari dell’associazione Nonna Roma le hanno appena donato una busta della spesa che lei non è potuta scendere a prendere nell’atrio. “Ho un figlio immunodepresso. Quelli a rischio contagio, di cui tanto si è sentito parlare...Eppure, oltre le chiacchiere, niente…” Rita è stata lasciata sola. Ci racconta, che i medici che assistevano il figlio malato non possono più entrare in casa sua, l’assistenza domiciliare con il coronavirus non funziona più come prima e adesso, a casa, deve starci lei. “Non lavoro più. Come lo compro da mangiare? Come le pago le bollette? É una tragedia.”

L’emergenza sanitaria stà, a poco a poco, trascinando gli italiani nel vortice della povertà. Un dramma nel dramma. Un tunnel da cui ancora non si vede la luce. “Prima consegnavamo nelle periferie più povere di Roma, ma adesso è cambiato tutto. Non solo in termini quantitativi, ma anche per quanto riguarda la composizione sociale delle famiglie che stiamo aiutando”, ci racconta Alberto Campailla, presidente dell’associazione Nonna Roma. Una povertà che d’un colpo non è più collocabile. Perché quando un’imprenditore, un’artigiano, un commerciante non ha più soldi per pagare l’affitto dei locali o le tasse, è nella stessa condizione di chi prima non aveva un lavoro. Nell’Italia dei disoccupati abbandonati dalle istituzioni, Nonna Roma è una delle tante associazioni che, in questo momento difficile, grazie a centinaia di volontari forniscono aiuti alle famiglie in difficoltà.

Quando arriviamo nella loro sede, la catena di montaggio è già in azione. Si prendono le buste e si inizia a comporre il pacchetto: pasta, riso, legumi, passata di pomodoro, frollini e per ultimo, un grande uovo di cioccolato. Perché in fondo il sorriso dei bambini solleva l’animo anche nei momenti più bui. Ci si coordina per fare il più presto possibile. Le tappe sono molte e, di questi tempi, le ore sembrano non bastare mai. “Adesso chiamiamo la signora a cui dobbiamo consegnare il cibo e le chiediamo di scendere in modo da rispettare la distanza sociale e non avvicinarci troppo alle abitazioni”, ci spiega un volontario dell’associazione con cui siamo andati a fare le consegne. I rischi ci sono, anche per loro. La paura certe volte si fa sentire. Ma non vince sulla voglia di aiutare, mai. “Ci sono anche casi in cui dobbiamo portare le buste nelle loro case, quando ci sono persone allettate non possiamo certo lasciarle senza cibo”, ci spiega una volontaria. No, non si può. Questo è certo. E così, durante tutta la settimana la macchina dell’associazione è attiva. Sette giorni su sette. Per raccogliere il cibo, che viene in parte acquistato dall’associazione stessa, e in parte donato dalle aziende che producono beni alimentari.

“Il volontariato è una delle risorse più grandi di questo Paese. Perché in situazioni come questa, con l’incapacità delle istituzioni di essere pronte ad affrontarla, fortunatamente c’è una rete enorme di volontariato e le tantissime associazioni come la nostra oggi fanno sì che eviti di scoppiare una rabbia sociale e che la gente prenda, ad esempio, d’assalto i supermercati”, ammette Campailla.

Il disagio si avverte. Si tocca con mano. E se prima a parlarne erano solo le grandi associazioni, adesso la richiesta di aiuto si percepisce anche nelle piccole attività di città. “Un giorno mio cognato aveva lasciato attaccato al muro fuori dalla panetteria tre buste con pane, pizza, dolci. La mattina quando sono arrivato a fare apertura ne era rimasta soltanto una. Non me lo aspettavo. Nel tempo in cui sono entrato per mettere in funzione la cassa era sparita anche quella. Ho capito che c’era bisogno di noi.” Da quel giorno Edmund, proprietario di un panificio a Roma lascia sempre alcune buste della spesa fuori dal suo negozio. Sopra i sacchetti con il cibo, il messaggio: “Se hai bisogno, questo è per te”. Potremmo chiamarlo "il muro della solidarietà". Un gesto tanto piccolo, quanto importante. Un modo efficace per aiutare le persone più bisognose. “Metto circa una trentina di buste al giorno. Finiscono sempre”, ci racconta Edmund. Mentre lo salutiamo dalla porta, una signora lo richiama alla cassa, “ti lascio dieci euro, puoi mettere qualcosa fuori attaccato sotto i cartelli?” Si aggiunge un cestino, ed è un sorriso in più.

Perché nessuno si salva da solo.

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