Una volta Shimon Peres ha detto che «un uomo come Zuckerberg può fare più di Lenin e Robespierre». Lui, sì, può compiere una rivoluzione vera, cambiare la vita delle persone, ma senza ghigliottine, tribunali del popolo, gulag, delatori, servizi segreti. Mark Zuckerberg può farlo perché lui è il re di Facebook: non un monarca parlamentare, non un sovrano dimezzato. Ieri Facebook ha pubblicato la nuova guida che spiega che cosa si può pubblicare e che cosa invece è vietato (e quindi si può chiedere che venga rimosso dalle sue pagine), ma il vero problema è un altro: cioè che il quasi trentunenne Zuckerberg è lo zar indiscusso che detta le regole di quella che ieri il New York Times definiva «la cosa più simile a una piattaforma di comunicazione universale», insomma è lui che decide che cosa si può dire o non dire, postare o no nel mondo e tutto questo - alla fine, di fatto - a sua discrezione. Nonostante i proclami sulla libertà del social network, nonostante l'obiettivo di «dar voce a più persone possibile on line», succede che, caso per caso, ci siano pesi e misure diverse. Questo a Zuckerberg è stato molto rinfacciato, per esempio dopo avere sostenuto a gran voce, dopo la strage di Charlie Hebdo , che «mai lasceremo che un Paese o un gruppo di persone ci ordini che cosa la gente nel mondo vuole condividere», salvo poi, di fronte alla richiesta della Turchia, bloccare tutte le pagine con immagini di Maometto: del resto, se non avesse obbedito Facebook sarebbe stato bandito nel Paese. Come ha detto Zuckerberg di recente, «quando un governo ci chiede di rimuovere un contenuto perché infrange la legge noi affrontiamo la questione molto seriamente, perché vogliamo che le persone possano avere la libertà di esprimersi senza il rischio che Facebook venga oscurato» e, certo, anche senza che le sue fette di mercato siano ridotte. Zuckerberg è a capo di un'azienda che connette un miliardo e trecentonovanta milioni di «amici», un visionario, un miliardario, un imprenditore assoluto: e sì, si è eretto a paladino della libertà di espressione, ha avuto il coraggio di attirarsi le critiche per avere pianto gli ebrei del supermercato kosher di Parigi e poi però cede ad Ankara, cede alla Cina, cede alla Russia, non vuole perdere i suoi affari, ma deve anche soppesare sui due piatti della bilancia che cosa sia peggio, oscurare qualche pagina oppure oscurare tutto.
«Lo scenario è complicato» ha detto ieri Monika Bickert, che ha spiegato al mondo le nuove regole, quelle per cui pubblicare foto pornografiche o di nudo è vietato, ma non foto di donne che allattano o di nudi artistici; non hanno diritto di pagina le organizzazioni terroristiche, né chi inneggia al terrore o alle sue azioni, chi minaccia o molesta altri utenti, chi incita all'odio o alla violenza o all'autolesionismo, però ci sono delle deroghe, per esempio se le foto di violenza sono una denuncia, di un attentato o di una violazione di diritti umani. Sembra comune buon senso, però in passato ci sono state applicazioni altalenanti, per esempio sui video dei terroristi, o sulle richieste di rimozione da parte dei governi. Nel dicembre scorso in Russia è stata bloccata una pagina che a favore dell'oppositore Aleksei Navalny (con grande indignazione dei dissidenti), ma non le pagine «clone», che invece sono rimaste visibili.
Su certe questioni le regole rimangono labili, «opache» scrive il New York Times e alla fine l'unica cosa chiara è che la guida non basta: la linea di confine fra censura e libertà di comunicazione è troppo sottile e troppo scivolosa, per essere contenuta in qualche regola, e per essere anche approvata dalla volontà insindacabile di Mark.di Eleonora Barbieri
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.