Quasi sempre il maratoneta che entra in gran rimonta nello stadio per l'ultimo giro di pista, finisce per battere sul traguardo quello in fuga. Potrebbe essere questo il fotofinish del ballottaggio di domenica a Milano, dopo che il primo turno ha già mostrato come il candidato del centrosinistra Giuseppe Sala abbia già dilapidato tutto il tesoretto di consensi accumulato nei mesi Expo di cui è stato commissario. Ad arrivare vicinissimo al sorpasso, un praticamente sconosciuto - alla vigilia - Stefano Parisi che proprio dall'esposizione mediatica di queste ultime due settimane potrebbe trovare il turbo decisivo. Non una faccenda di sola immagine ma di sostanza, visto che i due manager solo apparentemente così simili, sono in realtà assolutamente diversi. Con un Parisi che nel curriculum può mettere quindici anni di politica a Palazzo Chigi con fuoriclasse del calibro di Gianni De Michelis, Giuliano Amato, Carlo Azeglio Ciampi e Silvio Berlusconi e soprattutto un'esperienza da direttore generale di Confindustria, da manager in Fastweb e da imprenditore con Chili, la sua start up. Quello che serve a Milano, città a cui con il probabile sprofondare di Roma nel gorgo grillino, toccherà il gravoso compito di trainare l'economia del Paese. E non è un caso che molti imprenditori legati proprio a Confindustria e Assolombarda si siano parecchio avvicinati a lui, scaricando un sempre più nervoso Sala. Che, in cambio, nella festa di questa sera imbarca i soliti Linus, Vecchioni, Morgan, Max Pezzali, Bertolino e compagnia cantante. Detto questo, appare chiaro che non si voterà solo per il sindaco. Perché dovesse il premier Renzi perdere oltre a Roma e Napoli anche Milano e magari Torino (con il rischio forse maggiore che l'unico del Pd a vincere sia un «uomo nuovo» come Piero Fassino), allora le cose per il governo non si metterebbero certo bene.
E il putto fiorentino farebbe una certa fatica a «stare sereno», visto che in autunno arriva anche il referendum e proprio a Milano il centrodestra ha scoperto che con un buon candidato e i partiti uniti (alfaniani dissidenti di Maurizio Lupi compresi), una spallata al governo è tutt'altro che un miraggio.
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