Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo l’introduzione di Edoardo Nesi alla nuova edizione di Ghost Story ( Bompiani, pagg. 458, euro 11), capolavoro horror di Peter Francis Straub. Straub (Milwaukee, 1943) scrisse il suo primo romanzo sul soprannaturale, Julia , nel 1976. Negli anni seguenti pubblicò If You Could See Me Now (1977) e appunto Ghost Story (1979), che gli diede grande fama internazionale e venne salutato da Stephen King come uno dei migliori romanzi gotici mai scritti.
Il primo libro che ho tradotto, nel lontano 1992 quando non mi ero ancora sposato e stavo cercando di capire se l'atto di cucire insieme, à la Frankenstein, tanti racconti diversissimi tra loro e uniti solo dall'avere lo stesso protagonista, la stessa ambientazione, la stessa disperazione e rabbia e gelida solitudine potesse in qualche modo avvicinarsi all'idea, e all'impresa, di scrivere un romanzo è stato Danse Macabre, il fondamentale saggio di Stephen King, nel quale il maestro del genere ci esponeva il suo pensiero sull'horror nel cinema e nella letteratura e nei fumetti e persino nei programmi radiofonici.
Mentre ci spiegava magistralmente perché ci piace così tanto aver paura, e chiamava in suo aiuto i miti e gli archetipi con una particolare predilezione per Dioniso, e rivelava la sua ammirazione per la grandezza di Stevenson e Bradbury e Lovecraft e Harlan Ellison e scomodava persino le delicate storie di fantasmi della soave Edith Wharton, chiariva anche di avere ben poca stima di grandissima parte dell'horror che gli era toccato vedere o ascoltare durante l'arco della sua ancor breve vita. Avarissimo di elogi, distribuiva scudisciate un po'a tutti quegli autori contemporanei la cui fama potesse in qualche modo, per qualità o successo, essere accostata alla sua valgano per tutte le righe in cui definisce il romanzo L'esorcista di William Peter Blatty, da cui venne tratto l'omonimo capolavoro filmico del grande William Friedkin, «un mattone senza umorismo» e ammetteva poche, pochissime eccezioni a questo lavacro generazionale dell'horror.
La prima e la più notevole di queste eccezioni riguardava Peter Straub e il suo capolavoro Ghost Story, appena salvato da un ingiusto oblio grazie alla passione e all'intuizione di Elisabetta Sgarbi: Stephen King lo esaltava senza riserve, generosamente, definendolo il più bel romanzo sul sovrannaturale dai tempi di Rosemary's Baby, e anche un libro davvero straordinario sul tema del Fantasma.
Appena finito di tradurre Danse Macabre in quei giorni mi trovavo a New York, vanamente impegnato nell'impresa di convincere i riottosi confezionisti americani a comprare, o almeno provare, i tessuti del Lanificio T.O. Nesi & Figli mi precipitai ultimo cliente da Doubleday sulla Quinta Strada perché a quei tempi sulla Quinta, come del resto nel centro del mio Forte dei Marmi, e nel centro di Roma, c'erano anche le librerie comprai Ghost Story, tornai in albergo e avviai a leggerlo.
Questo romanzo ha un prologo. Accidenti, se ce l'ha. È terrificante. Dopo avere letto quella trentina di pagine, iniziai a notare quanto fosse buia la mia camera d'albergo e ad accenderne tutte le luci. Diventai consapevole del fatto che fosse scesa la notte, e che mi trovassi in un paese straniero, separato dall'Italia da sei maledette ore di fuso orario che mi rendevano impossibile telefonare a Carlotta per sentire la sua voce.
Immaginate un uomo che viaggia in automobile per le sconfinate autostrade che tagliano gli stati del Sud, la West Virginia, la Georgia, la South Carolina, diretto in Florida. L'uomo, più o meno un trentenne, è in compagnia di una bambina che non è sua, che ha rapito, e che lega a sé con una corda prima di addormentarsi. Ogni notte la fissa mentre dorme, un grosso coltello da caccia in mano, e si chiede se deve se può ucciderla o no. È una bambina molto tranquilla, dimostra sette-otto anni, e non ha nessuna paura di lui, che pure continua a chiederle chi è, come si chiama. È una bambina che dorme quasi sempre, e ha sempre fame, e dice di non avere genitori. Una bambina che forse non è una bambina. Poi, una notte, lui cambia domanda. Sono nella camera di un motel. Lui tiene nascosto il coltello da caccia piegando un braccio dietro la schiena. La sveglia e non le chiede chi è, ma cosa è. E lei sorride, per la prima volta, e risponde: «Lo sai. Io sono te».
E comincia un romanzo gotico straordinario e ricchissimo, che, come spiega Stephen King, oltre al tema fondamentale del Fantasma raccoglie in sé gran parte del repertorio dell'orrore: la possessione diabolica e il vampirismo e gli animali mutilati e i morti viventi e la mostruosità e una delle più singolari e terrificanti licantropie mai viste, ma riesce a dispiegarle sempre con eleganza e sapienza vorrei dire anche con ordine e a bracciate entusiaste. Mentre veniamo avvinti da una storia che corre instancabile, e ci affezioniamo ai protagonisti umani quattro anziani che si ritrovano ogni tanto per raccontarsi storie di fantasmi, con il tacito accordo di non mai parlare di quella, terribile, che li vide protagonisti cinquant'anni prima ci accorgiamo che proprio da quel fardello grondante orrori che è Ghost Story, uscito in America nel 1979, ha pescato il cinema americano horror che vedevo avidamente da ragazzino, coi mostri che nascono dai sogni e invadono la realtà, coi delitti impuniti compiuti dai buoni, con le bambine cattive, coi vampiri affascinanti, con gli esseri capaci di cambiare forma.
C'è la neve, poi, in questo romanzo, e la si vede, quasi se ne arriva a sentire il tocco diaccio, quella terribile neve che cade per tutto il romanzo e smette fin dalle prime pagine d'essere simbolo di purezza per diventare è la prima volta, per me metafora efficacissima e terribile del male che si accumula, e copre e invade il mondo e i cuori e le anime spaurite dei personaggi. Ma davvero non voglio scrivere altro. Leggetelo. Leggete questo romanzo formidabile. Lo farò anch'io, ancora una volta. Insieme a voi.© 2013 Bompiani
RCS Libri S.p.A.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.