Per lui la fontana di Piazza dei Quiriti, a Roma, dove gli toccò vivere e lavorare, diventava «sofferenza prostatica» in forma d'acqua. E acquistava i grossi babà liquorosi d'una pasticceria romana in Prati per provare che Lina, domestica dalle labbra spesse, non era golosa di quelli soltanto. È il Carlo Emilio Gadda che ti aspetti, ma che ti fa conoscere da vicino l'interessante docufilm di Mario Sesti Fiamme di Gadda, parcamente distribuito dall'Istituto Luce in alcune città capozona (Roma, Milano, Torino e Firenze) dal 24, nel quarantennale della morte dell'Ingegnere. E mentre il Gran Lombardo scompare dai programmi scolastici e dalla memoria letteraria, in 72 minuti il pedinamento del «Gaddus» rivela una «cognizione del dolore» più feriale.
Nessun registro aulico, anzi, ma lacerti di sofferenze e bizzarrie affiorano dai racconti di Maurizio Barletta, critico teatrale il cui padre fu amico dello scrittore. Così, il pancione di quell'uomo alto 1 e 82, «quasi un Grizzly», freme scosso dal pianto, mentre il piccolo Barletta, nove anni appena, dopo il funerale di sua madre si vede stretto in un angolo da Gadda, che gli si sfoga addosso. Né stupisce apprendere, per tradizione orale soffocata dalla presa diretta, col traffico romano più sonoro della parola, che lo scrittore amava porsi all'uscita delle chiese, di domenica, a osservare i fedeli che ne uscivano pii. E speriamo che le scolaresche, alle quali il docufilm verrà mostrato nei prossimi giorni, dell'autore non conservino perlopiù certi indimostrati dettagli à la page d'intima vita gaddiana: c'è la studiosa Paola Italia a sostenere, come impone la moda sugli autori defunti, che il «Gaddus» aveva «un'affettività eterosessuale, ma anche omosessuale». Quod erat demonstrandum, sebbene, certo, le donne rimasero mistero per il letterato dai nervi logori. Meglio ascoltare le affabulazioni, con dizione impeccabile, dell'attore cinematografico Sergio Rubini, che legge testi di Gadda, spiegandone l'affascinante torsione linguistica.
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