Chi era

In Italia lo conoscono in pochi, ma buoni. Negli Stati Uniti invece è qualcosa a metà fra la leggenda e il guru. Si chiama Gordon Lish ed è - fuori di dubbio - il più grande editor della letteratura contemporanea americana, uno che scopre i talenti, li ri-passa sotto la sua penna e li trasforma in veri scrittori. Settantaquattrenne, riservatissimo, newyorkesissimo, è una di quelle persone che con il proprio lavoro, spesso oscuro, ha cambiato pelle e connotati alla narrativa Usa.
Negli anni Sessanta ha fondato riviste d’avanguardia, come The Chrysalis Review e Genesis West; fra il 1969 e il 1976 ha diretto la redazione letteraria della mitica Esquire, dove divenne noto come «Captain Fiction» per il peso oltre che per il numero di scrittori che lanciò e sostenne (pubblicò racconti di Raymond Carver e Don DeLillo, difese il lavoro di Richard Ford, promosse le opere di Cynthia Ozick, Reynolds Price, T.C. Boyle, Barry Hannah...), e dal ’77 al ’95 ha ricoperto il ruolo di direttore editoriale della casa editrice Knopf tirando fuori dal cilindro nomi come Mary Robison, David Leavitt, Amy Hempel, Noy Holland, Lynne Tillman. Intanto trovava il tempo per creare un’altra rivista-culto: The Quarterly, uscita dal 1987 al 1995. Senza citare i suoi corsi di scrittura creativa. Attorno alle sue lezioni - fino a dodici ore senza interruzioni, così narra la leggenda - circolano parecchi aneddoti, a cominciare dai consigli ripetuti ossessivamente in aula: «Onora il tuo scopo», «L’unico premio per uno scrittore è la possibilità di scrivere la frase successiva», «Dobbiamo sempre sentirci sulla soglia del nostro più grande inizio»... Tutte cose che, da sole, basterebbero a consacrarlo in vita. Gordon Lish, però, è anche altro.
Padre putativo di una schiera infinita di scrittori, Lish è autore, diretto o indiretto, di molti capolavori. Ma il capolavoro fra tutti i suoi capolavori non è un libro, bensì uno scrittore, uno dei più grandi del dopo-Hemingway: Raymond Carver. A proposito del quale, a vent’anni dalla morte, ancora si discute se la grandezza sia da attribuire a Carver stesso o a Gordon Lish. Ovvero il suo caro e affezionatissimo editor. Ovvero l’uomo che lavorò d’accetta sui suoi primi racconti, correggendo e tagliando senza pietà, riscrivendo dialoghi, cambiando finali, sopprimendo interi brani, imponendo uno stile asciutto, freddo, disadorno, minimale (o minimalista). C’è chi - a partire dalla vedova di Carver, Tess Gallagher - accusa il vecchio amico Lish di aver rovinato l’autentico talento del giovane Raymond; e chi è convinto che senza il geniale «termineditor» il buon Ray - passato impropriamente alla storia come «padre del minimalismo» - sarebbe stato un autore men che mediocre. Polemiche infinite che ritorneranno, con violenza a inizio 2009, quando la Gallagher darà alle stampe la versione originale della raccolta di racconti Beginners (da noi uscirà in primavera da Einaudi) per quello che si annuncia come il caso editoriale dell’anno.
Ma di che cosa parliamo quando parliamo di Lish? Parliamo di un indubbio genio. Di uno che il Nouvel Observateur ha definito «uno dei duecento autori più importanti del nostro tempo». Di uno che quando nel ’77 uscì un suo racconto, anonimo, su Esquire, molti lettori lo attribuirono nientemeno che a J.D. Salinger, e Lish fu costretto a confessare pubblicamente che si trattava «solo» di una parodia di uno scrittore che ammirava profondamente (e nell’83 scrisse For Jerome - with Love and Kisses, che vinse l’O. Henry Award). Di uno senza il quale «la letteratura americana avrebbe preso una direzione del tutto diversa», come ha detto lo scrittore Brian Evenson, uno dei primissimi a vedere i dattiloscritti dei racconti originali di Carver con le correzioni di Gordon Lish custoditi alla Lilly Library di Bloomington, Indiana, ancora prima del famoso articolo di D.T. Max sul New Yorker che nell’agosto del 1998 fece esplodere il caso.
Bene. Quando Evenson, nel 1997, si mise a lavorare per un saggio scientifico sull’argomento, Tess Gallagher lo ha diffidò, tramite i suoi legali, a continuare. Il lato curioso della faccenda sta nel fatto che ora è la stessa Gallagher a voler pubblicare i racconti del marito nella versione originale. Dal canto suo, Evenson rimane convinto che «senza Lish nessuno si ricorderebbe più di Carver».
Invece, la storia è andata come è andata e tutti ci ricordiamo di Carver, dimenticandoci di Lish. E in Italia senza mai averlo neppure conosciuto, per la verità. Fino a oggi: perché finalmente è stato tradotto un suo romanzo. La casa editrice Nutrimenti ha da poco pubblicato Caro signor Capote, accolto quando uscì negli Stati Uniti, nell’83, da recensioni entusiastiche (la Kirkus Review definì Lish «il nostro Joyce, il nostro Beckett, il nostro più autentico scrittore moderno», mentre The Los Angeles Times sentenziò: «Ciò che Lish fa con la lingua è un miracolo letterario»). Scritto in uno stile che è l’apoteosi di quel minimalismo che viene contestato a molti suoi «allievi» e costruito a partire da un punto di vista spiazzante e con un linguaggio volutamente anti-letterario (frammentario, sincopato, pieno di frasi fatte, ripetizioni, libere associazioni di idee), Caro signor Capote è costruito come una lunga lettera-confessione con la quale un sedicente serial killer nella New York degli anni Ottanta si rivolge a Truman Capote offrendogli di raccontare in un libro i suoi omicidi, convinto che il grande scrittore trasformerà la sua storia in un best seller come A sangue freddo...
Liquidato in 25 parole da Antonio D’Orrico due giorni fa sul Magazine del Corriere della sera (garanzia, questa, di assoluta qualità del libro), Caro signor Capote è, invece, un bellissimo romanzo «citazionista» che gioca in maniera raffinata con la letteratura e il mondo editoriale (da Norman Mailer allo stesso Capote, i cui racconti peraltro Lish pubblicò su Esquire), che sviscera la complessa relazione fra vita reale (quella di Lish e quella della New York degli anni Ottanta che partorirà American Psycho) e fiction (il finto serial killer, la finta lettera, il finto Capote a cui è rivolta) e, infine, che azzarda un’analisi dell’inesplorabile rapporto tra arte e follia. Il tutto in uno stile personalissimo che è la summa di mille stili diversi (come i dodici diversi incipit della lettera, cioè del romanzo).
Ora, è difficilissimo dire se Carver sarebbe stato un gigante della letteratura anche senza Lish.

Di certo Lish è un ottimo scrittore anche senza Carver. Uno in grado di aiutare gli altri a capire come far funzionare al massimo la loro scrittura, ma solo perché aveva già capito molto bene come usare al meglio la propria.

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