Errori e orrori di grammatica Gli editori bocciati in italiano

Refusi, strafalcioni, sintassi ballerina, congiuntivi sbagliati (soprattutto nelle traduzioni). La cura redazionale dei libri peggiora sempre di più

Errori e orrori di grammatica Gli editori bocciati in italiano

Pescati a caso sulla scrivania: il ritratto di Bruce Springsteen We are alive di David Remnick, tradotto e introdotto da Leonardo Colombati e pubblicato da Feltrinelli: un po' dopo la metà spunta la frase «La Columbia non avrebbe più investito un soldo su Bruce se quell'ennesima uscita discografica si sarebbe rivelata un fiasco». Il romanzo di fantascienza Città delle illusioni di Ursula K. Le Guin, tradotto e pubblicato in Italia da Gargoyle: a un certo punto ecco un «benché sono...». Il romanzo 1Q84 di Haruki Murakami, edito e ristampato anche in economica da Einaudi: «Un gruppo di quattro persone che avevano l'aria di essere impegnati in una conversazione d'affari...». Nuova edizione de L'amante di Lady Chatterley negli Oscar Mondadori: «ha lasciato l'esercito solo l'hanno scorso». La banalità del male di Hannah Arendt nell'Universale Economica Feltrinelli: «tuttavia la maggior parte di essi non erano completamente fidati». I fantasmi della notte di Frost Jeaniene, tradotto per Fanucci: «era sotto shock e non sarebbe passato molto tempo prima che il ghoul sarebbe riuscito a entrare nell'ascensore». Per non ri-citare una recente edizione tascabile di Rumore bianco di Don DeLillo dove, solo relativamente agli apostrofi, ci si imbatte in «un'essere umano», «un'agitarsi», «un intelligenza», «un età», «un'accordo», «un antica potenza», «un'attimo di pausa», «un'insetticida», «un'altro motivo» e «un arte»... Einaudi editore...

Anche se l'errore di traduzione (editoriale) più diffuso - a occhio - è usare l'indicativo là dove la grammatica italiana vuole, o vorrebbe, o volesse, il congiuntivo. Secondo qualcuno la crisi del congiuntivo - un modo verbale che serve a indicare un'azione incerta, ipotizzabile, desiderata o dubbia - non è imputabile alla mancanza di cultura, ma all'eccesso di certezze. Oggi pochi pensano, credono o ritengono: tutti sanno e affermano. E, aggiungiamo, forse dipende anche da una mancanza di educazione, visto che spesso il congiuntivo si usa, o si dovrebbe usare, nelle espressioni di cortesia. Si sieda, Signora... Mi consigli Lei, per favore...

Sia come sia, il congiuntivo più che il «modo della possibilità» sembra essere diventato il regno dell'incertezza. Si dice che stia sparendo, che non si usi più nella lingua parlata e poco in quella scritta, che la narrativa l'abbia respinto, le traduzioni ferito e il giornalismo ucciso... Eppure gli studi socio-filologici dimostrano il contrario. Un paio di anni fa in Viva il congiuntivo (Sperling&Kupfer) due storici della lingua italiana, Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, attraverso un esame del suo uso nei vari campi della comunicazione, hanno dimostrato sorprendentemente che il congiuntivo gode (o goda?) di ottima salute. E nel nuovo Dove va il congiuntivo? (Utet) Salvatore C. Sgroi nega il pericolo di estinzione che incomberebbe sul congiuntivo, anche se da tempo ormai è considerato dai mass media una specie protetta.

Non c'è dubbio, però, che negli ultimi anni il disinvolto uso della grammatica italiana sia diventato un topos delle traduzioni nell'editoria italiana, tra refusi (e sarebbe il meno) e strafalcioni ortografici o sintattici. Volete alcune (piccole) prove? La recente protesta delle lettrici per i troppi errori nei romanzi rosa su http://bibliotecaromantica.blogspot.it, oppure le perle raccolte dal sito «Refusi Refugium Peccatorum» (http://refusi.altervista.org/cos-e-refusi) e dalla Rete dei Redattori Precari (http://www.rerepre.org/) nella sezione «sVisto si stampi - La fretta porta all'errore!».

Ma è davvero la fretta che porta all'errore? O invece (più ancora dell'incompetenza dei correttori di bozze) i compensi inadeguati dei collaboratori esterni, traduttori in primis? Il problema, come ha spiegato molto bene Marco Filoni in un'inchiesta su Il Venerdì del 26 luglio scorso, poiché le case editrici, grandi e piccole, pagano sempre meno gli editor, i traduttori e i correttori, sul mercato restano i meno bravi, i più svogliati, i meno motivati... E così l'ultimo anello della catena culturale, cioè il lettore, finisce col cibarsi di libri poco curati, traduzioni approssimative, pagine farcite di refusi ed errori di stampa.

Del resto, passando dalle traduzioni ai romanzi italiani, il «caso editoriale» dell'estate è Ti prego lasciati odiare di Anna Premoli (Newton Compton), un romanzo-polpettone (come ha dimostrato la stroncatura di Pippo Russo sull'Unità del 3 agosto, peraltro quasi foto-copiata, sotto pseudonimo, sull'inserto «Domenica» del Sole24Ore di questa settimana) scritto malissimo, sciatto, banale, pieno di luoghi comuni, similitudini imbarazzanti, agghiaccianti errori d'ortografia («c'è l'ha») e di astronomia («il cavallo è una femmina di nome Luna, e

spero che sia davvero l'opposto del pianeta che ricorda»). L'editor, che lo ha riletto «soppesando ogni singola parola», non ha trovato nulla da ridire sul libro. E i giurati del Bancarella, un mese fa, l'hanno premiato.

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