Sembra Washington ma è Hollywood: i film politici da Oscar

Zero Dark Thirty, Lincoln e Argo in prima fila nella corsa alle statuette. Fra polemiche in Senato e marketing aggressivo

Una scena del film "Lincoln"
Una scena del film "Lincoln"

I film politici, con Washington sullo sfondo, in America si sono sempre fatti. Ma quest'anno qualcosa di parossistico emerge dalla corsa all'Oscar. Mai come nel 2012, infatti, i migliori prodotti di Hollywood, quelli che il 24 febbraio concorreranno all'ambita statuetta, sono impregnati di politica nazionale, la più scottante. Come se tra i corridoi di Washington e gli studios di Los Angeles ci fosse un cordone ombelicale duro a recidersi, non si parla d'altro che dei tre massimi competitori, pronti a rimettere in ballo questioni di Stato vecchie e nuove: Lincoln di Steven Spielberg, Argo di e con Ben Affleck e Zero Dark Thirty di Kathryn Bigelow.
Proprio quest'ultimo film, addirittura oggetto di interrogazioni al Senato, ha fatto scalpore sui media, nelle settimane prenatalizie, poiché tre senatori di area bipartisan - i democratici Diane Feinstein e Carl Levin e il repubblicano John McCain - hanno scritto alla produttrice Sony invitando i responsabili a «correggere l'impressione creata dal film, per cui la cattura di Bin Laden sarebbe dovuta all'uso della tortura». Prima d'ora i politici non erano entrati così a gamba tesa nelle interpretazioni artistiche di registi e sceneggiatori. Com'è noto, la regista premio Oscar Bigelow (The Hurt Locker) e lo sceneggiatore Mark Boal hanno calcato la mano sulle scene dell'annegamento controllato, in uso durante la caccia ai terroristi di Al Qaeda, con spirito documentaristico e d'inchiesta. Ma adesso, mentre Obama (a parole) sostiene che l'America non tortura, è scomodo avere in pista gli stessi due soggetti pericolosi - Bigelow e Boal - l'anno scorso accusati dai repubblicani, a inizio riprese, d'aver avuto accesso illegale agli archivi segreti della Cia. Zero Dark Thirty, dunque, scotta e divide, nonostante 4 nominations ai Golden Globes. Per questo l'8 gennaio ci sarà un evento vip al Newseum di Washington, con proiezione del film e invitati di rango.
Intanto, sempre a Washington, il beniamino di pubblico e critica Steven Spielberg ha fatto un figurone al Campidoglio: per il suo Lincoln, esegetico biopic del presidente Usa che nel 1865 si battè per abolire la schiavitù, anteprima in grande spolvero alle cinque del pomeriggio, al Capitol Visitors Center. E pop corn per tutti, serviti con speciale dispensa all'Auditorium del Congresso, mentre un quartetto di star - Spielberg, il protagonista Daniel Day-Lewis, lo sceneggiatore Tony Keshner e la storica Doris Kearns Goodwin, dal libro della quale è tratta la pellicola -, si mostrava disponibile al dibattito, dopo la proiezione. Una campagna pubblicitaria aggressiva, quindi, con Spielberg fotografato sullo sfondo del catafalco su cui fu adagiato Lincoln e la Motion Picture Society of America lesta a organizzargli una visita alla Casa Bianca, con proiezione al cospetto di Obama. Risultato di questo ambaradam istituzionale? Lincoln conta 7 nominations ai Golden Globes e Dream Works, Participant Media, 20th Century Fox e Disney Studios, coinvolti nella produzione, si fregano le mani. Ma se l'assalto dei senatori a Zero Dark Thirty danneggia il film, tanto zucchero e miele intorno a Lincoln lo soffoca: in fin dei conti, su 6mila membri dell'Academy Motion Picture che dovrà decidere gli Oscar solamente 21 risiedono nell'area di Washington D.C.
Quanto ad Argo, ben accolto alla casa Bianca, ancora in proiezione speciale, è un thriller spionistico ambientato all'epoca di Jimmy Carter: gli anni '70 sono lontani, ma non troppo e Affleck, ultimamente, è stato sotto i riflettori chiedendo allo Armed Services Committee di adottare misure più severe per proteggere i diritti umani in Congo. Tra l'altro, giravano voci (poi smentite dall'interessato) che il divo potesse correre per un seggio al Senato in Massachusetts.

E mentre gli strateghi di Hollywood ne pensano ogni giorno una nuova, Quentin Tarantino non si sottrae alla prova muscolare: il suo Django, 5 nominations ai Golden Globes, spacca l'opinione pubblica per il modo in cui tratta la questione dello schiavismo, ma piace. Politica, politica e ancora politica.

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