di Nicola Crocetti
Gli alberi mettono fuori le foglie
come qualcosa che sta a fior di labbra;
le gemme novelle si rilassano e si distendono,
la loro verzura è una sorta di dolore.
Forse perché loro rinascono
mentre noi invecchiamo? No, muoiono
\[anch'essi.
Il trucco di apparir nuovi ad ogni anno
è registrato negli anelli della vena.
Eppure, castelli senza requie, si dibattono
in accresciuta foltezza ad ogni maggio.
L'anno vecchio è morto - sembran dire -
si ricomincia daccapo, daccapo, daccapo.
(Traduzione di Roberto Birindelli)
Trascorre la maggior parte della sua grigia esistenza recluso come un topo nelle biblioteche: a Wellington, a Leicester, a Belfast e infine, da direttore, all'Università di Hull, nell'Inghilterra provinciale che si affaccia sul Mare del Nord, a leggere i versi scritti dagli altri poeti inglesi, che poi riunisce in una prestigiosa ma contestata antologia, The New Oxford Book of English Verse. A Oxford, dove studia, Philip Larkin (nato a Coventry nel 1922 e morto a Hull nel 1985) conosce letterati che diverranno illustri, come John Wain e Kingsley Amis, pubblica i suoi primi testi su riviste universitarie e nel '46 la sua prima raccolta, The North Ship, fortemente influenzata da Yeats e Dylan Thomas. Ne seguiranno, a cadenza decennale, altre tre, fino a High Windows, uscita nel '74 e che ottenne un successo invidiato da tutti gli altri poeti. Il suo tono è colloquiale, la lingua semplice e comprensibile, mai banale o scontata: tutto l'opposto della poesia sperimentale e modernista in voga negli anni '50-60. Tanto da arruolarlo nel movimento poetico chiamato «The Movement», dalle caratteristiche rétro e conservatrici.
Una poesia del senso comune, fedele ai modelli del passato, nel rispetto ossequioso della tradizione, religione compresa, per la quale il Nobel Derek Walcott lo ha definito «maestro dell'ordinario».
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