Francesco Damato
Riconosco molto volentieri a Massimo DAlema il merito di avere smesso di citare i proventi delle querele tra le sue fonti di reddito, a giustificazione del tenore di vita che si può permettere a terra e per mare.
Ospite della redazione dellUnità per una lunga chiacchierata sulaffare Unipol, il presidente dei Ds ha così spiegato le sue entrate: «Ho il privilegio di avere un ottimo stipendio, che anche al netto del contributo che va al partito rimane molto più elevato di quello che va alla maggior parte dei lavoratori. Ho pubblicato otto libri, alcuni dei quali hanno avuto successo. Mia moglie è professore universitario». Così va meglio. Al posto delle querele, citate in altre occasioni, DAlema ha capito che per un leader politico è più elegante parlare dellaiuto che riceve dalla consorte. Che non è, per carità, il femminile e il minuscolo di Consorte, lex presidente dellUnipol bruciatosi nella imprudente scalata alla Banca nazionale del lavoro.
Ancora meglio andrebbe, in verità, se DAlema smettesse del tutto la pratica delle querele come strumento di difesa o lotta politica. Invece proprio quella chiacchierata nella redazione dellUnità è cominciata con lannuncio di una querela contro il Foglio, appena concordata con lavvocato Guido Calvi, nonché senatore ds, come «atto obbligato». Cioè come lunico modo per respingere «insinuazioni», «aggressioni» e quantaltro di sconveniente egli ha trovato nelle domande «da 50 milioni di euro» rivolte da Giuliano Ferrara ai Ds a proposito della consistenza e della destinazione dei conti monegaschi di Consorte, questa volta al maschile e maiuscolo, e del suo vice Ivano Sacchetti.
Le querele in mano ai politici, e ancor più ai magistrati, avvantaggiati dal fatto che a sentenziare sono i loro colleghi, hanno sempre uno sgradevole aspetto intimidatorio, e spesso anche discriminatorio. A meno di non dare ragione a Ferrara, che lo ha accusato di essersi lasciato «eterodirigere» da Eugenio Scalfari raccogliendone listigazione a querelarlo, non si capisce perché DAlema abbia deciso di denunciare il direttore del Foglio e non anche, per esempio, Giampaolo Pansa, Gad Lerner, Marco Travaglio, Paolo Flores dArcais ed altri ancora che sulla destinazione dei 50 milioni di euro, quasi 100 miliardi delle vecchie lire, ricevuti per consulenze da Consorte e Sacchetti hanno espresso sospetti e curiosità non dissimili dal mio amico Giuliano. Del quale del resto lo stesso DAlema ha riconosciuto la buona fede, spiegando di avercela con lui non tanto per ciò che scrive quanto per la presenza di Veronica Berlusconi fra gli editori del suo giornale.
Prendersela con i giornalisti - lui, poi, che è anche un giornalista - per colpirne gli editori quando sono sgraditi è un vezzo di DAlema, che ha indicato nella proprietà anche di questo giornale, parlando della «famiglia del presidente del Consiglio», una specie di aggravante della «colpa» di avere pubblicato le conversazioni telefoniche di Consorte con Fassino.
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