«Se mamma non lavora, non si mangia»... È così che si congeda e si giustifica ogni volta, ormai da anni, dai figli oggi cresciuti ma ancora, comprensibilmente, recriminanti (quale figlio non lo rimane per tutta la vita?) quando, col valigino, dopo brevi, intense visite modello forza di pace dell’Onu, da Roma riparte per Milano per qualche incombenza tv. Sulla porta saluta con una frase che contiene un’urgenza e un senso del dovere che la gente comune immagina troppo comuni per una così poco comune. Invece sta lì il nocciolo, lì e in quelle espressioni che ogni tanto le cavalcano il viso imbizzarendosi, all’improvviso. E alle quali lei riesce a mettere le briglia solo un attimo dopo rispetto a quando le sarebbe servito: quando ormai le telecamere le hanno intercettate.
Si tende e si piega senza mai spettinarsi Barbara. E non lo fa quando magari enfatizza un’espressione, no. Non è quello il momento. Lì, in realtà, è quando sta salda sulle staffe della diretta, quando prende a speronate i tempi e le convenienze del piccolo schermo. E non lo fa nemmeno quando lo scroscio di applausi del pubblico pretenderebbe una lacrima scontata da parte della conduttrice, e neppure quando ce la si aspetterebbe da casa, una lacrima facile. Come tutti quelli che hanno passato la vita a mettersi a misura una corazza, la D’Urso offre punti d’attacco inaspettati, presta minuscole porzioni di fianco in zone impensabili. Un pezzetto d’acciaio che si è scalfito per usura, un lembo d’anima che è rimasto imprudentemente scoperto. Vai a capire cosa fa tremare il labbro, a un granitico... La storia di una donna che le somiglia più di quanto sia evidente, il racconto di un dolore che ha più a che fare coi suoi tormenti di quanto ce lo possiamo immaginare noi.
Se Barbara non avesse dovuto (anche) guadagnarsi la vita a unghiate, oggi non sarebbe la D’Urso: maratoneta dell’ammiraglia Mediaset, signora della Domenica, del Pomeriggio e, a breve, della prima serata di Canale 5 (da gennaio con un nuovo programma, in un nuovo studio e con una nuova sigla nella quale scimmiotterà le mitiche «signorine buonasera», dalla Orsomando alla Elmi). Se Barbara non avesse dentro (anche) quel nocciolo, se non avesse (anche), quel lembo morbido scoperto, oggi non avrebbe raccolto in un libro (Più forti di prima, storie di donne dalla tragedia alla rinascita, Mondadori, pagg. 166, euro 18, uscito il 23 novembre e giunto già alla terza edizione) l’intima epopea di tante sconosciute eroine. Maltrattamenti, ingiustizie, abusi, lutti e «malamori»: di questo «parla» il suo primo libro (presentato lunedì a Milano dal responsabile dell’informazione Mediaset, Mauro Crippa, e dal direttore del Tgcom, Paolo Liguori). Di questo e del riscattato, per nulla scontato, di un lieto fine. Storie e donne di tutti i generi. Come quelle a cui parla la D’Urso ogni giorno. Perché se c’è una cosa che ha imparato a furia di unghiate, di trasferte, di ore di diretta e di anni di tv è che, per arrivare a tutti, ogni tanto bisogna profumarsi di sugo e ogni tanto bisogna profumarsi di Chanel, ogni tanto si può intervistare Francesco Rutelli, e ogni tanto si deve aprire le telecamere alla signora Carmela.
Perché chi la vita l’attraversa con consapevolezza, perde il capriccio di essere schizzinoso. E con questo libro, la D’Urso, vuole ricordarsi di tutte le volte in cui la vita le ha insegnato a non esserlo. Perché lei lo sa dov’è quella piccola falla nella corazza.
Ed è come se l’accarezzasse ad ogni sfogliar di pagina di questa sua nuova, emozionante avventura. Come una tenerezza che ha finalmente la forza di concedere a se stessa. Perché quando si è felici, si ha il dovere di essere generosi, anche con se stessi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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