Dalle liste elettorali al Pantheon: è l’Italia del cavillo

L’opposizione in Italia ha trovato finalmente il suo leader, acclamato dai magistrati: è la custode del Pantheon che ha interrotto domenica scorsa un concerto affollato nel solenne monumento romano perché aveva sforato di quattro minuti sull’orario previsto. Alle 18 si chiude, non c’è Cristo che tenga, fuori Bach, Mozart e tutti i cittadini spettatori. La gente protestava per il concerto e per lo sconcerto, ma la regola è ferrea. I cittadini vengono evacuati dal Pantheon. Chi se ne frega di loro e dei musicisti, l’importante è salvare il regolamento, e magari l’appuntamento privato della custode. A Roma, si sa, la vita funziona come un orologio svizzero e chi sgarra va fuori. Dura lex romana.
Questo piccolo fatto di cronaca, realmente accaduto, è la parabola più efficace per riassumere l’indignazione dell’opposizione sul decreto interpretativo del governo e poi sulla firma apposta da Napolitano per sanare la grottesca vicenda delle liste escluse. C’è chi nel nome del regolamento vorrebbe cancellare la trascurabile maggioranza degli italiani e il reale diritto dei cittadini a scegliere chi vogliono al governo delle loro regioni. C’è chi si rifugia in fumose soluzioni politiche mai precisate, pur di condannare il tentativo disperato e necessario di far coincidere la cornice della democrazia con il contenuto. Insomma, c’è chi, nel nome del regolamento, esporrebbe in galleria la cornice ma lascerebbe fuori l’opera del Caravaggio perché risultata non conforme alle regole del museo della democrazia. La democrazia ridotta a museo di cornici vuote.
La vicenda romano-lombarda non è bella, anzi è sconfortante. Il dilettantismo, l’incuria, l’inadeguatezza sono un problema vero. Però vorrei dire due cose elementari. La prima è che non vorremmo mai scegliere tra democrazia formale e democrazia sostanziale, ma quando il caso, il destino, l’idiozia - chiamatela come volete - ci pongono davanti a questa scelta tra i cittadini e la matita per scrivere i voti, preferisco i cittadini alla matita. Non si può barattare la democrazia per un panino, quello di Milioni; e non si possono buttare a mare quattro milioni di cittadini veri nel nome di quattro firme false. Il diritto non esiste fuori dall’uomo, se la giustizia non serve agli uomini ma alle regole, non è giustizia ma tirannia del dettaglio, democrazia farisea, formalismo senza vita. Quando sento Tonino Di Pietro che chiama alle armi gridando alla dittatura per via di questo decreto, scorgo con orrore la sua idea della democrazia: non contano le persone, i popoli, la realtà e la sovranità dei cittadini, ma la legge, che è vigente anche senza di loro, nonostante loro. A prescindere. Se per un refuso di trascrizione la norma prescrive che la legge è uguale per tetti, Di Pietro premier fa abbattere tutti i palazzi privi di tetti. L’importante è rispettare la legge e l’ordinanza del magistrato; tanto peggio per la realtà. Mi ricorda le barzellette sui carabinieri, come quella dei due appuntati che al casello stavano piegati per terra con un cucchiaio, spiegando che l’ordine ricevuto diceva di imboccare l’autostrada...
La seconda considerazione non detta ma sottintesa è che gli errori alla presentazione delle liste, le irregolarità, i timbri sbagliati e i simboli non conformi, i ritardi e perfino le firme di morti, ci sono sempre stati e ciascuno di noi ha memoria di storie, scaramucce, proteste e confidenze. Da ogni versante politico. Ma solo ora quelle irregolarità sono venute allo scoperto e sono state punite. Non dirò nemmeno che ciò accade per colpire una parte politica, non alimento vittimismi di parte e arrivo a dire che chi sbaglia in questo modo non ha diritto poi a fare la vittima. Perché questa volta la vera vittima che ha il diritto di sentirsi tale non è la nomenklatura di un partito, i suoi funzionari, ma il popolo italiano, i cittadini; e solo per questo si doveva rimediare al pasticcio.
Si, è brutto il precedente che si è creato, e non incoraggia certo al rispetto della legalità i cittadini. Ma la vita, la realtà, è fatta di paragoni tra mali minori e maggiori. Sarebbe stato meglio il contrario, ovvero negare agli italiani tutti e alla loro maggioranza, il diritto di votare per chi vogliono, solo per un errore formale; che effetto devastante avrebbe avuto sul Paese e sulla democrazia? E la spirale dei ricorsi dove sarebbe finita, a far governare il partito della pagnotta? Non c’è bisogno di essere lettori di Carl Schmitt e di preferire il suo decisionismo al normativismo di Kelsen, per dirlo. Basta essere la casalinga di Voghera per capirlo. Si chiama buon senso, senso comune della realtà.
Vi immaginate Papa Giulio II che fa cancellare il giudizio universale sulla Cappella Sistina perché Michelangelo ha usato colori non conformi alle norme igieniche della Santa Sede? Vi immaginate De Gasperi che viene respinto a Washington e gli viene negato il Piano Marshall di aiuti per l’Italia perché il suo volo da Roma arriva in ritardo? Vi immaginate Obama che non viene candidato negli Stati Uniti perché il funzionario che doveva depositare al distretto la sua candidatura si è fermato a mangiarsi un panino?
A questo proposito, si dovrebbe scrivere un trattato sul rapporto tra democrazia e pagnotta, sull’onda del caso Milioni. Il partito della pagnotta era un modo di dire, dal dopoguerra in poi, per indicare la prevalenza degli interessi personali e immediati sull’interesse pubblico. Ma l’unico precedente di incidente elettorale per un panino lo ricordo da bambino al mio paese. Un rappresentante di lista monarchico, onesto e credente nel Re, Peppino De Toma, venne sorpreso fuori dal seggio a sfilare la mortadella del panino destinato agli scrutatori e a calarsela in bocca dall’alto con atto libidinoso. Ne nacque un diverbio ideologico-alimentare che rischiò di far saltare il rispetto delle procedure nel seggio. Il povero Peppino visse l’unico abuso d’ufficio della sua vita, l’unico episodio di corruzione intercettato in flagrante, come la vergogna della sua vita; un peccato mortale contro la legge, anzi di più, contro la Regina e il Re in esilio (avesse visto Emanuele Filiberto, sarebbe passato alla repubblica e all’anarchia della mortadella).

Ma se fosse accaduto oggi, avrebbero chiesto di invalidare le elezioni per attentato alla serenità degli scrutatori e dunque alla regolarità dello spoglio elettorale. Allora si preferì invece una soluzione più semplice, commissionare altri panini con la mortadella. La democrazia fu salva, a prezzo di un etto di mortadella.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica