Bocche tappate, nei corridoi della Guanda, quando Dario Fo passa a salutare. Purtroppo nel ruolo che da qualche tempo predilige, quello del Geremia oscurantista, il giullare più celebre del mondo non dà il meglio di sé.
Vietato allora girare il coltello nella piaga: già è penoso che un premio Nobel per la letteratura abbia un bisogno disperato di un revisore di bozze... Guai se una segretaria che ha fatto il classico - o un editor pane-al-pane-vino-al-vino - provasse a fargli notare che Lapocalisse rimandata, divagazione su un futuro senza petrolio, è un libro scritto con i piedi. Così la reticenza corre sulle scrivanie, fra una stampante e un cumulo di manoscritti. Nessuno sghignazza per la media di sette punti interrogativi ed esclamativi per pagina, con picchi di tredici; vecchio trucco per impedire alla noia di assalire il lettore. Nessuno segna con il blu certi grovigli sintattici che avrebbero condotto al licenziamento lultimo dei giornalisti: «Da anni hanno risolto di delegare limballo della monnezza a imprese mafiose o provenienti dallarea della politica, che spesso sono le medesime». Nessuno si scandalizza per la goffaggine grammaticale («Entra in scena, proveniente da dietro una lastra scorrevole...»), per le battutacce che nemmeno al Bagaglino (i proci di Ulisse, immaginate un po a quale raffinato calembour si prestano?) né per gli svarioni da ginnasiale (il «Royal Society» fondato da Isaac Newton: diciassettenne?).
Post scriptum. Cè Nobel e Nobel.
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