De Magistris sulla munnezza ci è o ci fa?

Caro Granzotto, chiunque poteva immaginare che De Magistris fallisse non appena eletto sindaco di Napoli per un motivo molto semplice: il fallimento sulla questione principale dello smaltimento dei rifiuti è dato soltanto dal categorico rifiuto di costruire termovalorizzatori e discariche, unica soluzione al problema «emergenza monnezza». De Magistris ci fa rimpiangere la concezione che i leghisti hanno dei sindaci, il cui ruolo viene considerato sacro, quasi a incarnare una delle più importanti istituzioni dello Stato. Ed è anche per questo motivo che la Lega avrebbe chiesto al momento opportuno di ritornare sull’argomento ddl sindaci per dar loro più potere, sempre che siano illuminati e soprattutto impegnati nel portare benessere non solo a loro stessi ma anche agli altri cittadini.
Genova

Appunto, gentile lettrice: sempre che lo siano. Ma il bello della democrazia è questo: visto cosa è successo quando Pilato chiamò il popolo a esprimersi? Votò Barabba. E poi non creda: molti degli elettori che gli diedero il consenso erano sicuri che il De Magistris avrebbe risolto - nei quattro giorni promessi - il problema della munnezza. Non per fede nelle facoltà taumaturgiche dell’ex magistrato (lei è di Genova, però ricordi che a Napoli si tiene molto al «Ca’ niscuno è fesso»), ma per ben più colpevole credenza nella stampa e televisione «sinceramente democratica» che martellarono sulla incapacità di Berlusconi di affrontare e risolvere il problema. Che dunque se solo si fosse rimboccato le maniche, un bravo guaglione come De Magistris avrebbe sbrogliato giusto il tempo di prendersi ’na tazzulella ’e café. Cominciando con l’imporre - seppure con le buone, facendo leva sul dialogo&confronto - la raccolta differenziata. Quando annunciò il proposito mi chiesi - e tuttora mi chiedo - se De Magistris è uno di quelli che ci fa. O se invece ci è. Il problema dei rifiuti è il numero uno della città. L’argomento ha dominato la campagna elettorale: non panem et circenses, non giustizia e libertà, non lavoro per tutti, non un pollo al giorno in forno promettevano i candidati. Ma di liberare Napoli dalla munnezza. E allora, ti capita in sorte di essere eletto sindaco e cavi dal cilindro, come soluzione dell’annoso problema, la raccolta differenziata? A Napoli. Da anni incapace di smaltire la raccolta senz’altri aggettivi. Vale a dire il primo e imprescindibile passo: rimuovere la spazzatura e stivarla in luogo acconcio o termovalorizzarla. La differenziata è come la ciliegina sulla torta del pattume: realizzabile se il servizio di nettezza urbana fila via liscio come l’olio, se chi vi si sottopone palesa nei fatti un forte sentimento civico e civile e se le sue noiose, talvolta travagliate premure nel suddividere l’organico dal solido e dall’umido e dal secco e dal vetro e dalla carta e da altro genere ancora, viene poi premiato da quel ricavo energetico che la raccolta differenziata renderebbe certo. Un insieme di fattori, dunque, che al momento Napoli non può offrire e senza i quali la raccolta differenziata diventa una barzelletta, una delle tante raccontate da quel pifferaio di De Magistris. Il quale, dopo aver tirato in ballo il solito complotto che gli impediva di tener fede alla parola data («In quattro giorni sistemo tutto») ha annunciato il «piano B»: l’intervento del governo. E io seguito a domandarmi: ci è o ci fa? Che me lo chieda io, poi, poco conta.

È che cominciano a chiederselo i napoletani che lo portarono sugli scudi, anche se in fondo in fondo sono convinto che molti lo votarono proprio sapendolo - alle prese con la munnezza - guapp’e cartone. E siccome sulla munnezza c’è chi campa - Saviano dice che a camparci è la camorra e come non credere a Saviano? - il pensar male (però con quel che segue) torna facile.
Paolo Granzotto

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