Un decennio sull’ottovolante

Il primo decennio degli anni 2000 verrà ricordato come uno dei periodi più bui della finanza. I mercati hanno prima attraversato la bolla della new-economy, poi quella immobiliare, e successivamente quella dei prodotti derivati, frutto della fanta-finanza che ha portato alla recessione dell’ultimo biennio. Numeri alla mano, il bilancio del decennio sulle più importanti Borse mondiali presenta ribassi a due cifre per tutti. Wall Street ha superato la peggiore decade della propria storia perdendo con l’indice di riferimento S&P 500 quasi il 22%. L’Europa ha visto scendere il paniere delle 600 società più capitalizzate del 30% circa, mentre Tokyo è riuscita a fare peggio perdendo il 42%. Il tentativo delle maggiori economie di trainare la crescita con l’utilizzo del debito ha portato a eccessi che sono costati cari innanzitutto alle banche, protagoniste in negativo, e poi a tutte quelle aziende che hanno creduto di poter aumentare a dismisura la propria produzione, salvo poi confrontarsi con una domanda inferiore.
L’industria dell’auto è l’esempio più chiaro di questi anni di eccessi, con la crisi di Gm e Chrysler e il baricentro gradualmente spostato verso l'Asia. Nel 2009 in Cina c’è stato un incremento delle immatricolazioni del 40%, per un totale di 7,3 milioni di vetture. Cifre che hanno consentito lo storico sorpasso ai danni dell’America come primo mercato mondiale. Che la Cina venga considerata la nuova locomotiva dello sviluppo mondiale non è una novità. Il Pil dal 2000 cresce con tassi superiori all'8% e anche nel 2010 le stime degli economisti si aggirano sopra questo livello. Quello che sorprende è che a fronte di questi numeri la Borsa di Shanghai sia salita «solo» del 202%, facendosi battere da diverse piazze asiatiche decisamente meno prestigiose, ma più trasparenti e meno oppresse dall’interventismo statale. È il caso del Pakistan o dello Sri Lanka, entrambi alle prese con la crescente domanda di infrastrutture e materie prime.
Proprio le materie prime si sono rivelate l’investimento migliore del decennio. L’oro è salito del 280%, il rame del 276% e il petrolio, anche se lontano dai picchi sopra i 145 dollari dell’estate 2008, ha messo a segno un rialzo del 206%. Per questo non è una sorpresa trovare Paesi ricchi di materie prime ai vertici delle performance di Borsa dal 2000. La Borsa di Caracas, in Venezuela, nonostante le nazionalizzazioni di Chavez ha quasi decuplicato il proprio valore. La Russia, primo estrattore mondiale di gas e secondo di petrolio, ha visto salire l’indice Micex a Mosca del 794%. Queste cifre vanno ovviamente depurate di un’inflazione nettamente superiore a quella dei Paesi industrializzati e dalle fluttuazioni valutarie; ma anche al netto di queste variabili sono in grado di sfoggiare rendimenti da sogno. Specie per chi è abituato a seguire l’andamento di Piazza Affari.
Dal 2000 a oggi chiunque avesse investito 100 euro sull'indice di riferimento della Borsa Italiana (Ftse Mib) si troverebbe ora in tasca 58 euro. Tra le grandi compagnie le maggiori delusioni sono arrivate da Telecom Italia e Stm che hanno perso oltre l’85% del proprio valore. Per contro invece, le prospettive legate agli investimenti petroliferi hanno consentito a Saipem di apprezzarsi del 566% e guadagnarsi lo scettro di titolo migliore del decennio a Milano.

Al secondo posto, a breve distanza, il gruppo farmaceutico Recordati che ha più che quadruplicato il proprio prezzo in virtù di una crescita esponenziale all'estero e alla diversificazione di prodotto. A dovuta distanza poi si segnalano Atlantia, Eni e Buzzi Unicem.

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