Maria Vittoria Cascino
da La Spezia
Una scala stretta per mettere piede sulla Msc Maureen. Un cargo nuova generazione. Che fa tutto da solo. Che sinfila in pancia centinaia di container. Che odora di grasso ed è una colata di grigio contro il blu del mare spezzino dun giovedì di sole. Che diventa il luogo scelto da Donatello Bellomo per raccontare il suo ultimo romanzo, Luomo del Cargo (ed. Mursia, 237 pagine, 18 euro), nella rosa dei cinque finalisti del prestigioso premio sanremese «Libro del mare» presieduto da Folco Quilici. Un incidente in mare, un giornalista velista salvato da un cargo su cui viaggiano quattro strani individui e un delitto. Una storia che parte da lontano, quasi per caso, per lostinazione duna donna, per il fiuto dun vecchio lupo di mare che «ha 85 anni, ma ne dimostra 60. Ed è un mio amico». Per una scommessa. Per quel mare che si sente nella pancia. Che non molla i personaggi e la storia. Che non scende a patti. Che allaga e carica i contorni della vendetta.
È bello il porto dalla Msc. Container come lego. Uno sullaltro. Il comandante Ciro Pinto traduce la tecnologia avanzata del ponte con quellinflessione napoletana stretta nella divisa. Cè anche Giorgio Bucchioni, ex presidente dellAutorità Portuale, che il libro lha già letto e guarda Bellomo da uomo di mare. In cerca di complicità. E Bellomo ascolta quello che dicono di lui. Osserva dietro la barba, lo sguardo inclinato. Ogni spunto è buono. Cè un ufficiale montenegrino a bordo. «Come nel libro». Recupera dettagli, coincidenze. Lo sguardo è sul porto, sul mare. Su tutta quella ferraglia che vive. «Mi piacciono le cose grandi. E il cargo è uno degli oggetti più belli in assoluto. È bello il rinoceronte non lantilope». Frasi brevi. Potenti. Lo stesso modo in cui scrive e incalza. «Pago il dazio ai miei predecessori che di mare vissero dal 600. A Siracusa. Erano ricchissimi. Il mio bisnonno era nostromo». Cè lha nel sangue il sale. Quando nel 75 sul lago di Garda se ne innamora e compra la sua prima barca a vela. Impara tutto da zero. Poi viene lo sloop progettato da Ron Holland. Le gare vinte. Composto nella giacca chiara, appoggiato ad una paratia, lui, giornalista che vive e lavora a Verona, ti racconta che appena può scappa alla Spezia. Quella del porto, delle gradazioni di grigio, degli uomini che stivano. «Da ottobre a marzo ha una connotazione melanconica che si sposa con quello che sono gli uomini che partono, che lasciano la famiglia. Ne Luomo che cavalcava un sogno ipotizzavo che sarei finito a raccontare la storia di un cargo. Perché trasporta di tutto. Mi piace pensare alle cose che possono essere stipate qui sopra. Mi piace la solitudine. Mi piace stare con me stesso. Mi piace passeggiare con il cane in collina».
Uno scrittore, giornalista, velista che respira boccate dossigeno su un cargo nel porto mercantile della Spezia. «Ha un fascino unico questo posto. Gioca a livello emotivo. Ascolto gli uomini. Guardo i loro volti. È una malia». Torna al libro e ricuce gli spunti. Parla di se stesso o racconta la trama? Su Le Figaro legge di una banca parigina che apre le vecchie cassette di sicurezza non più reclamate. Un amico gli consente di assistere. Ci sono barattoli di conserva chiusi lì dal 42. Titoli scaduti. Cè una cassetta di legno con un elmo, una divisa della prima guerra mondiale e una foto con 42 artiglieri francesi. «Ingrandisco la foto e una macchia nera diventa una donna che si ritrae da una finestra. Poi cè il mio amico capitano Destouches che mi regala la sua barca a vela anni 60, il pantheon della bellezza. Non la voglio, ho già la mia. Mi sfida a provarla. Ho un incidente e vengo soccorso da un cargo. Tutto vero». Poi cè lisola di Ist in Croazia. Fatta a farfalla. Duecento anime. Un campanile come quello di San Marco e una lapide nera che sfiorata dalla luna scopre tre nomi, Darko, Drago e Jerko, morti nella guerra di Jugoslavia. Vero anche questo. A collegare gli elementi la voce narrante del giornalista soccorso, di cui sappiamo tutto tranne il nome. E luomo del cargo è il comandante, figura conradiana, vita raminga di chi va alla busca. Su un cargo alla rinfusa, in balia degli ordini di partenza. «Sono un solitario che soffre la solitudine». Lo dice guardandoti negli occhi che ti raccontano il senso della lontananza, quel «guardare dalla barca una bella donna che passa sulla banchina e immaginare come possa essere la sua camera da letto». Come dentro un film. Senza nostalgia.
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