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Depuratori, nel Lazio 8 su 10 fuorilegge

Alessia Marani

Gli impianti di depurazione nel Lazio? Ben l’86 per cento di quelli controllati nel biennio 2004-2005 dagli uomini del Reparto Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza è fuorilegge. Non è una novità. Proprio un anno esatto fa il Giornale denunciò un primo parziale bilancio dell’attività d’ispezione dei berretti verdi via cielo (con numerosi e minuziosi rilevamenti fotografici dall’alto) e via mare (con il campionamento costante della qualità delle acque soprattutto in corrispondenza di scarichi e fossi) rivelando un dato agghiacciante: ottantuno dei novantaquattro impianti ispezionati fino ad allora non erano in regola. Di questi addirittura 37 erano di gestione comunale. Degli irregolari, cinque su sette erano stati scovati in provincia di Frosinone, ventinove su ventinove a Latina, diciannove su diciannove a Rieti, ventisei su trentacinque a Roma, due su quattro a Viterbo. A fine 2005 la situazione non cambia: undici su tredici a Frosinone, undici su sedici a Latina, tredici su quindici a Rieti, ventuno su ventisei a Roma, undici su quattordici a Viterbo. Complessivamente su 173 blitz effettuati dalla fine del 2003 (ossia dall’accordo siglato tra le fiamme gialle e l’Arpa, l’Agenzia regionale per l’ambiente a tutela della salute pubblica), 140 depuratori sono stati bollati come non conformi alle normative, con 131 violazioni amministrative e 20 reati penali accertati. Dati inquietanti, insomma, che la dicono lunga sullo stato di salute delle acque regionali. Come scrivono a chiare lettere i finanzieri nelle loro relazioni di servizio: «Dai dati a disposizione - si legge - risultano assai scarse le performance ambientali dei depuratori. Ciò contribuisce ad aggravare lo stato di qualità di numerosi corpi idrici regionali che dovranno raggiungere, come previsto dalla normativa, specifici standard qualitativi. Il mancato rispetto della normativa comunitaria e nazionale, il mancato raggiungimento degli standard, la non conformità degli scarichi a un deficit depurativo, comporteranno cospicue sanzioni amministrative, delle quali si dovrà fare carico la collettività». Non solo. C’è il sospetto che dietro al sistema di gestione irregolare si nasconda una gigantesca speculazione sui fondi comunitari e nazionali erogati a favore della salvaguardia ambientale e costiera: ben 72.303.956 di euro stanziati solo dalla Regione Lazio all’epoca Storace attraverso il «fondo speciale per il litorale» deliberato nel luglio del 2003, di cui quasi la metà (31.090.705) per «assicurare migliori condizioni di qualità ambientale e di assetto territoriale» e, in particolare, «la difesa del litorale, la salvaguardia degli ecosistemi naturali, la riduzione e il controllo degli impatti delle attività antropiche». Tanto che i risultati dell’operazione «Fiumi e laghi blu» oggi rischiano di finire sul tavole della Corte dei Conti. «Bisognerà appurare - spiega il maggiore Emilio Errigo - se risparmiando sul ciclo dei trattamenti dell acque reflue, sulla manodopera o altro, siano stati “distratti” fondi pubblici a ciò destinati. Non basta. Bisogna ricordare ai cittadini che dopo il danno di ritrovarsi acque inquinate, c’è pure la beffa di dovere ripagare attraverso le tasse le operazioni di bonifica e disinquinamento. Ormai l’acqua è considerata una risorsa sempre più preziosa, quella che comunemente definiamo “Oro blu”. Va, dunque, tutelata in ogni modo. Una priorità che non può essere elusa».

Le sanzioni per i gestori? Da un minimo di mille euro a un massimo di 12.900 per lo scarico di reflui fuori tabella: fino a 51mila per la mancata autorizzazione. Spesso troppo poco rispetto alle decine di migliaia di euro che servono per adeguare un impianto alle norme.

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