2 IL POPOLO DEI MODERATI
Il centrodestra non stia a guardare la fine di Genova
Caro Massimiliano, mi colpiscono di te come capo redattore, oltre la tua preparazione, il tuo attaccamento alla vita ed ai valori più importanti ad essa legati, il tuo amore per gli altri e soprattutto per la famiglia, il tuo rispetto per le idee altrui.
Sono tutte qualità queste che non devono darsi per scontate, qualità che non solo fanno sognare te stesso, ma anche chi ti legge e, per quanto mi riguarda, una tua lettrice accanita nonché unamante de «il Giornale» da sempre.
È per questo motivo che leggo nelle tue parole, a cui hanno aderito parecchi lettori, come tu ci spieghi, un desiderio sfrenato che dei sogni possano tradursi in realtà, come sognerei che il «popolo dei moderati», come tu definisci il popolo del centrodestra, si traducesse in un «popolo dei facinorosi» proprio attraverso le preziose pagine de «il Giornale».
Mi spiego meglio. Nutro il massimo rispetto per il pensiero degli altri e nello specifico per coloro che si collocano nel centrodestra ma senza quella passione, quella grinta, quella voglia sfrenata di esprimersi al 100% come cittadini nei loro diritti e nei loro doveri, che investono invece noi «popolo de il Giornale» che definirei «facinorosi» ma nellaccezione buona del termine, rimanendo come dici tu «per bene». Tuttavia, penso che il nostro obbiettivo ultimo debba essere quello delleterno miglioramento di noi stessi, pertanto mi piacerebbe che questi moderati capiscano che se intendono sopravvivere alle angherie della coalizione opposta costituita da una sorta di prepotenza che a volte può essere anche intesa positivamente come voglia di fare e di emergere, dovrebbero sognare anchessi di diventare più grintosi, più attivi e non rimanere passivi di fronte ad una città come Genova che sta morendo nonostante la sua bellezza e le sue innate qualità.
Di conseguenza, penso che «il Giornale» possa collaborare a dare una grossa mano a queste persone che se riuscissero a crescere ancora potrebbero contribuire a spostare lago della bilancia in fase di elezioni.
Ti capisco quando parli di andare «contro corrente» e di operare una «rivoluzione liberale». Tutto questo può essere attuato con importanti sogni, ma che devono essere seguiti da fatti appunto rivoluzionari, da cambiamenti nella mente sia dei lettori, degli elettori ma anche degli eletti che dovrebbero ascoltare maggiormente la popolazione dei bus e dei mercati, la gente comune, i colleghi di lavoro, non solo chi la pensa come noi ma anche chi si schiera al centro o a sinistra.
Grazie e affettuosi saluti.
2 MALATTIA ITALIANA
La politica «castale»
e il declino della città
Caro Direttore, dopo aver letto il tuo articolo su il Giornale di sabato 18 giugno sono ricaduto nella grafomania che, come sai, mi affligge e che per qualche tempo ero persino riuscito a contenere come avevo promesso a me stesso. Ed è tutta colpa tua. Hai scritto che sta per accadere qualcosa di importante a Genova sotto il profilo politico per il centrodestra e, lo dico subito, purtroppo non ci credo.
Lo so, sarò scaramanticamente pessimista, nel senso che vorrei tanto non esserlo e sono pronto ad iscrivermi anchio al «partito dei sognatori» se verrò smentito dai fatti, ma penso che questa città attraversi un declino oramai inarrestabile, perché da troppi anni governata da una classe politica «castale» ed ermeticamente chiusa.
È questo tipo di politica, quella tanto per dare un nome e cognome divenuta professionale, che a mio avviso ha reso asfittico il clima politico, a dire il vero non solo nella nostra città. A Genova semplicemente i nostri concittadini si sono rassegnati.
Genova è una città che fa parte di un Paese ammalato di politica, in cui, unico al mondo, la politica è la prima «industria» del Paese per numero di «occupati», basti pensare che la Regione Sicilia, da sola, ha quasi più dipendenti della Fiat, ed in questo la nostra città rispecchia fedelmente la «nazionalità», diciamolo chiaramente.
Questa è una «somma ingiuria», a mio parere ovviamente, arrecata alle generazioni, presenti e future, perché ha tolto e continua a togliere loro risorse ingentissime concorrendo ad aumentare una spesa pubblica sempre più simile ad un gigantesco «maelstrom» che, a detta di tutti, è divenuta intollerabile ed esso è storicamente da attribuirsi a principale, se non esclusiva, responsabilità della sinistra italiana, che storicamente ha infatti fin dai primordi usato la politica professionale come strumento di riscatto sociale.
Pensiamo solo alla pletora dei consiglieri regionali, comunali, provinciali, circoscrizionali e delle comunità montane sparse per il Paese, pensiamo ai deputati ed ai senatori, tanti, tantissimi, troppi, in pensione dopo solo qualche mese di legislatura, alle auto blu che superano di dieci volte il numero delle auto blu negli Usa, pensiamo ai comuni che si occupano di fusioni e di acquisizioni, di consigli di amministrazione e di business, e pensiamo a come tutto ciò abbia annebbiato, ma che dico, cancellato la voglia di intraprendere, di cimentarsi, di mettersi in gioco, insomma di rischiare.
A Genova, per di più, è mancato un disegno organico di sviluppo della città, diciamo idoneo a sottrarsi a quello che di solito viene definito come «mutevole assetto delle maggioranze politiche», continuando imperterrita a svilupparsi «a macchia di leopardo», cosa ancora più paradossale se solo si pensa che Genova dal dopoguerra a questa parte è sempre stata governata dallo stesso colore politico.
Non cè nulla da fare: Genova si è oramai assuefatta a «navigare a vista» e per questo motivo essa è una città moribonda in un Paese in piena crisi finanziaria ed economica, che necessiterebbe di una seria e profonda riforma fiscale come noi necessitiamo dellaria che respiriamo.
Da questa politica di stampo «castale», affezionata al cursus honorum politico degli esponenti della famiglia Russo Spena o al perpetuarsi di quella di Michele Santoro, solo per restare ai fatti recenti, come se si trattasse una cosa necessaria per il Paese, ecco, dicevo, da questa politica «castale» a mio parere il centrodestra avrebbe dovuto/dovrebbe dare un forte segnale di discontinuità, prendere le distanze, insomma coerentemente smarcarsi, senza minimamente imitarla, per coltivare quella spinta innovativa che aveva caratterizzato la nascita del Pdl e lalleanza con la Lega.
Urgono idee innovative e non delle mere imitazioni dei programmi politici altrui, occorre una forte discontinuità, occorre smarcarsi da tutto ciò che di vecchio, ripetitivo e stantìo si è perpetuato in questi anni.
Per questo motivo, come già mi capitò di scrivere, credo che le primarie possano servire al centrodestra solo se esse saranno vere ed autentiche e non meramente formali.
Ed il mio laconico scetticismo nasce da qui, caro Massimiliano, dalla distaccata e serena consapevolezza della forza dei contendenti dellarea cosiddetta «moderata», definizione convenzionale che non mi piace perché mi pare restrittiva e superata quasi come quella di destra e di sinistra.
Non è facile insomma fare delle primarie vere, o meglio è più facile a dirsi che a farsi e non è nemmeno facile che appaia allimprovviso sulla scena genovese un «Luca Josi» (caro, carissimo Luca). So bene che a Firenze Matteo Renzi vi è riuscito, ma Genova è una città sui generis.
Una cosa però è certa: lo stimolo che tu/voi riuscite a dare attraverso il Giornale può essere fondamentale per favorire lo svilupparsi nel centrodestra di una rinnovata consapevolezza collettiva, che faccia quanto meno sperare.
Un caro saluto.
Simone Bodio
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