Questo pomeriggio alle ore 16.30, presso la biblioteca del Consiglio regionale della Liguria in via DAnnunzio 38, si terrà la presentazione del libro «Nero su rosso. Una storia esemplare della Destra. Le origini del Msi genovese» di Sergio Pessot e Piero Vassallo (edizioni Novantico), con prefazione di Marcello Veneziani. Con gli autori interverranno Augusto Casarino, presidente del circolo «Giorgio Almirante», Gianni Plinio, coordinatore del circolo culturale Destra Domani, e il senatore Giorgio Bornacin.
«Nero su rosso - Una storia esemplare della destra» di Sergio Pessot e Piero Vassallo (NovoAntico Editrice, Pinerolo c.p.28) ci fa interrogare sul perché la destra di Fini sia com'è e se sia ancora erede della destra storica.
Il libro, poco più di 100 pagine di una ricerca storica tanto volutamente e a lungo ignorata, ha una prefazione di Marcello Veneziani, in Appendice un intenso saggio di Luciano Garibaldi su «Nascita e scomparsa dei monarchico-fascisti» e una postfazione di Angelo Ruggiero. Su uno snodo del percorso moderno Ruggiero dice: «Il Msi fu un partito messo in un angolo solo alla fine degli anni settanta fino ai primi novanta. Iniziò tutto con il finanziamento pubblico dei partiti, che rese Almirante padrone del Msi».
Almirante commise errori? L'analisi ne evidenzia tre da matita blu. Il primo nel 1960 quando minacciò la scissione se non si teneva nel centro di Genova il congresso Msi. Avrebbe potuto essere una Fiuggi condivisa, ma allora Tambroni aveva costituito un governo monocolore e Togliatti contro quel centrodestra progettò la rivolta popolare di Genova. Seguì per il Msi un decennio di stallo.
Gli altri due errori di Almirante nel 1968, quando eredita dall'antogonista, il cattolico Michelini, la segreteria del Msi. Tollera gli estremisti di Rauti; affida al «cinguettante radical chic» Armando Plebe il settore culturale. Il «turismo filosofico» di Plebe provoca nei giovani una vacanza di pensiero che perdura in Fare futuro «talk show per freddure sofistiche e filosofemi da palcoscenico». Prima di tale decadenza l'accreditata scuola di cultura fascista, di Arnaldo Mussolini, voleva rifondare la cultura italiana sul pensiero dei grandi autori cristiani del passato (San Tommaso, San Bonaventura, Dante, Petrarca, Vico) e del primo Novecento (Del Vecchio, Papini, Gemelli).
Per la confusione di idee il resto lo fece il '68, che non stupisce Fini abbia ideologicamente riabilitato: certa destra divenne anticipatrice di una nuova sinistra, entrambe in dissenso nei confronti dei rispettivi partiti di riferimento, «quasi intercambiabili fra Evola e Marcuse, fra Che Guevara e Mishima». Non a caso, negli anni dal 1955 al '68 Rauti aveva convinto una parte del Msi della «necessità di calare la tradizione nel contenitore del fascismo rosso, operaista, socializzatore». Ecco chiarito il titolo del libro, ma al lettore più distratto serve uno schema della postfazione con la chiarezza di un antico Bignami. Ruggiero, testimone del congresso del Msi a Viareggio nel 1954, scrive: «Si fronteggiavano tre schieramenti, "una destra" di Romualdi e De Marzio; "una sinistra" di Ernesto Massi e Giorgio Almirante, "un centro" composto da De Marsanich, Tripodi, Michelini, Roberti, Galdo, Bacchi e altri di rilievo che costituiva la linea politica pragamnatica e maggioritaria».
Poiché questi nomi al lettore comune spesso non dicono più nulla, si segnala che a Genova nel 1946 si costituì il primo nucleo del Fronte degli italiani, da cui nello stesso anno sarebbe nato a Roma il Msi, fondato nello studio dell'assicuratore Michelini, cui si affiancarono Romualdi, Baghino, Almirante, il principe Pignatelli, e Roberti (primo federale del Msi genovese). Questi nomi e foto armarcord di giovani dal volto pulito rappresentano la nostalgia di un passato «romantico» che veniva dall'immediato dopoguerra. Il primo Msi si era sentito investito dei valori della tradizione cristiana, rappresentante di esigenze autentiche da proiettare nel futuro. Non pensava ad una restaurazione della Dittatura, ma a superare «la divisione degli animi che oggi proietta un'ombra velenosa e paralizzante sulla vita politica del Paese e che era considerata il peggior dei mali di una Nazione». Lo sbandamento di Gianfanco Fini «ha portato in scena una squadretta di loquaci professorini sedicenti laico-liberal-risorgimentali, da riapertura della breccia di Porta Pia e scavo di un nuovo fossato tra italiani e italiani». Ma l'approdo della destra «romantica» è nel giudizio in chiusura di libro: «Ultimamente il successo di Fini si deve alla dichiarazione di voto di Silvio Berlusconi. D'ora in avanti la storia della destra appartiene felicemente (malgrado sussulti velleitari di Fini e Granata) alla storia di Silvio Berlusconi, interprete di un'Italia che ha congedato i maestri del sospetto, del livore e dalla jettatura per volgersi all'ottimismo della ragione e della benevolenza del cuore».
Prima, nel libro, tutta l'evoluzione della destra dal dopoguerra (a fine 45 circa 35mila le vittime di una mattanza «pianificata come risulta da documenti del Cnl»), con in Liguria cittadini eroici (Cesare Sangermano, Emanuele Ghersi - fatto sfilare con un cappio al collo e di recente un cappio si è visto nelle mani di una dipendente Alitalia poi eletta nell'Idv -, Ferruccio Lentini), con ritratti dei maestri: Giano Accame e Gianni Baget Bozzo.
Le pagine più intense del libro sono per l'epopea delle Fiamme Bianche, giovani di meno di 18 anni che presero le armi nel settembre '43 e furono l'unico corpo delle Forze Armate della Rsi che non si arrese; il gruppo di Genova combatté oltre al 29 aprile '45. Il loro comandante Alfredo Oppicini-Burzomato diventa poi assistente volontario di Santa Maria delle Grazie nel centro storico.
È la Chiesa dove Siri fece riaprire un'antica galleria che portava alle banchine del porto.
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