Milano capitale mondiale della «Terapia del dolore». Dai prossimi 27-31 agosto, fra le pareti di vetro del Milan Convention Center dell'Expo, settemila medici di tutti i Continenti si incontreranno per approfondire il tema del male del secolo, l'emicrania, e per esaminare il futuro di milioni di persone che rivendicano il diritto di essere curate per una patologia, il dolore, che oltre al fisico devasta la mente e l'anima.
Presidente e organizzatore del Congresso sarà Paolo Marchettini, medico del dolore di fama internazionale, docente di fisiopatologia e terapia del dolore all'Università della Svizzera italiana di Lugano e da pochi giorni Direttore del nuovo e superattrezzato Centro di diagnosi e terapia medica e chirurgica delle sindromi da dolore cronico appena inaugurato al Centro Diagnostico Italiano di Milano. «Purtroppo si soffre con la testa, cioè col cervello - spiega - Tutto si prepara lì dentro, nel fondo di ciascuno di noi. Poi viene elaborato, amplificato, in un certo senso perfezionato. Per questo molte volte sono utili i farmaci antidepressivi». Scrutandomi al di sotto della benda scandisce: «Certo, è difficile dire a chi prova lancinanti spasimi alla nuca o alla schiena che non c'è alcun danno organico, ma un disagio psicologico. Eppure è così per almeno la metà dei pazienti».
Neurologo, ortopedico, terapeuta del dolore con più di 30 anni di esperienza Marchettini ci mette poco a entrare nel cuore del problema: «In Italia circa due milioni di persone soffrono a causa di diagnosi imprecise, interventi chirurgici mal riusciti e terapie inadeguate». Ha un cruccio questo supermedico: la medicina del dolore nel nostro Paese non è ancora materia di insegnamento nonostante l'Italia si sia dotata di una legge che riconosce al dolore cronico la dignità di malattia, legge giudicata la più evoluta d'Europa.
Ma quali sono sono le più frequenti patologie dei «malati di dolore»? Eccole: artriti reumatoidi, lombosciatalgie, artrosi, nevralgie del trigemino; soprattutto il mal di testa cronico e il mal di schiena, spesso invalidanti. Ci sono poi milioni di italiani che soffrono di nevralgie iatrogene, cioè provocate da interventi chirurgici che hanno danneggiato o reciso nervi.
Lo spasimo lancinante del malato di cancro terminale è un caso di cui si occupa l'oncologo o rientra nelle vostre competenze?
«Noi curiamo questi pazienti per lo più utilizzando gli oppioidi come morfina e eroina. Purtroppo nel nostro Paese ci sono ancora resistenze all'impiego di queste sostanze che in realtà non provocano, come si crede, gravi effetti stupefacenti e dipendenza. Quando ci sono problemi nella somministrazione degli oppioidi per via orale pratichiamo l'infusione diretta del farmaco nel midollo spinale mediante una micropompa inserita sotto la cute di cui il paziente stesso può regolare il dosaggio. Questa tecnica permette di controllare anche i tormenti più forti che, se non alleviati, accelerano la morte. La morte che questi malati a volte invocano».
Succede che chi soffre troppo vi chieda di aiutarlo a morire?
«Sì. Morte, eutanasia. Ma chi si rassegna a assecondare la morte è un medico frustrato, sconfitto. Anche perché sopprimere il dolore non è solo un problema medico, è una conquista di civiltà».
Dopo la legge 38 del 2010 la situazione della Terapia del dolore è migliorata? E dal punto di vista scientifico ci sono novità?
«La legge 38/10 anzitutto prevede l'apertura di molti nuovi Centri di terapia. Quanto all'innovazione, mentre diventa sempre più evidente che tante malattie giudicate psicosomatiche sono in realtà biologiche, benché causate da stress, è da segnalare l'impiego di farmaci antiepilettici, molto validi contro i dolori neuropatici conseguenti a lesioni del sistema nervoso centrale, e della ziconotide, un derivato del veleno di una lumaca marina. É efficace pure l'anestesia elettrica che a un certo livello del midollo spinale crea un blocco totale nella sensibilità delle fibre nervose».
C'è chi mette sotto accusa la religione per tutte le difficoltà che fino a ieri in Italia ha incontrato la Terapia del dolore.
«La Chiesa cattolica non ha colpa del disinteresse dello Stato italiano per la Terapia del dolore. L'enciclica di Paolo VI Sanare infirmos lo dimostra. La fede religiosa le dà una motivazione rendendola più sopportabile oppure la trasforma in estasi».
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