Domani tocca agli azzurri Orgoglio Buffon e De Rossi "Noi siamo l’Italia pulita"

I campioni del mondo guidano la ribellione al clima disfattista. Gigi ai tifosi: "Non fatevi depistare da chi semina zizzania"

Domani tocca agli azzurri Orgoglio Buffon e De Rossi  "Noi siamo l’Italia pulita"

Cracovia - Hanno alzato il ponte levatoio e si sono rinchiusi dentro l'albergo Turowka, pochi chilometri dal centro storico di Cracovia, in una landa deserta: un viottolo di campagna, un orto e un binario della ferrovia visibili nei pressi. Zero turisti, zero tifosi, zero curiosi, il contrario di quel che è accaduto agli inglesi, finiti in un hotel del centro storico, a due passi dalla piazza principale, col benestare di Hodgson. Dal bastione più alto del castello azzurro, di primo mattino, Gigi Buffon, il portierone campione del mondo e capitano riconosciuto della ciurma italiana, ha cominciato a lanciare sui presunti assedianti secchiate di olio bollente. Sono le parole di fuoco contenute nella bacheca di faceebook e che ha tutto il sapore di un vero e proprio appello rivolto alla patria lontana e ai tifosi scoraggiati dallo tsunami del calcio-scommesse. «Baratterei 2-3 anni di vita per ritornare là dove tutti noi sogniamo di arrivare» è il suo sdolcinato "incipit" dedicato alla voglia matta di ripetere la famosa cavalcata 2006, dalla notte di Berlino fino al Circo Massimo e al milione di tifosi ebbri di felicità che cantavano a squarciagola.

Ancora più affilato l'affondo successivo di Buffon spedito al largo pubblico di appassionati del club Italia, tiepido, addirittura algido per l'effetto dello scandalo: «C'è chi ci vuole dividere o creare fratture fra voi e noi, ragionate con la vostra testa, gente. Non fatevi depistare da chi di mestiere fa il semina-zizzania». Evidente il riferimento diretto ai media e agli scenari apocalittici descritti dai resoconti di interrogatori e inchieste parallele degli ultimi giorni.

Non è rimasto da solo Buffon, scoperto anche a recitare il ruolo di leader con i più giovani della spedizione: fitti i colloqui con Giaccherini. Gli ha dato una mano anche De Rossi, l'altro esponente "tedesco" della compagnia, finito suo malgrado al centro di un dibattito calcistico per l'utilizzo da centrale difensivo che non è di sicuro il suo mestiere conclamato. «Anch'io avevo una visione provinciale del calcio, pensavo che esistesse soltanto la Roma prima dell'esperienza azzurra. Certo che c'è bisogno dei tifosi, l'ho capito nell'europeo del 2008 a Zurigo contro la Francia: tutte quelle bandiere ci spinsero a superare il primo turno», è la sua testimonianza dell'epoca di Donadoni ct prima di toccare il nervo scoperto della Nazionale tutta. «Chi gioca qui non ha niente a che vedere con l'inchiesta» è la prima sottolineatura del romanista, poco disposto a discutere con Zeman del suo prossimo ruolo, determinatissimo invece ad assecondare i piani di Prandelli per irrobustire la trincea difensiva dinanzi alla Spagna («dopo l'amichevole con la Russia mi ha detto: Daniele, mettiti in mezzo, e io ho capito al volo»). E per chi non avesse colto il distinguo per niente sottile, ecco il passaggio successivo firmato da De Rossi, ancora più esplicito, ogni riferimento a Criscito e Bonucci è indispensabile: «Qui ci sono giocatori per bene, qualcuno è stato toccato dallo scandalo e sono straconvinto che dimostrerà la sua estraneità, sono dispiaciuto per i nostri colleghi coinvolti ma non voglio essere contestato per azioni non fatte da me così come mi inquieta che tutto il calcio italiano venga trascinato nel fango e invece non è sporco tutto come sembra».

È l'Italia per bene che ieri ha alzato la voce forse anche per nascondere le tensioni che cominciano ad affiorare a poche ore dal trasferimento nell'umida Danzica, sede della sfida con la Spagna, «mi diverte sempre guardare giocare il loro centrocampo» è il riconoscimento pubblico di De Rossi, vale più di cento aggettivi messi in fila a casaccio. «Xavi da quattro anni è il più forte della compagnia», l'altra tessera del puzzle composto da De Rossi che ha chiesto soccorso al terzo superstite di Berlino, Andrea Pirlo, descritto molto bene dallo stesso Piquè, ieri nel ritiro spagnolo («Balotelli può far vincere una partita, Pirlo un campionato»). «Pirlo fa una squadra, non solo qualche gol su punizione» è la risposta rifilata da De Rossi a un giornalista spagnolo.

Nel momento del bisogno e forse anche della verità, più che discutere di difesa a 3 o a 4 («non voglio sentirmi un dio se gioco bene e dare la colpa al ct se vado male», l'onesta promessa del romanista), l'Italia superstite di Duisburg ha scelto di rivolgersi a un paio di protettori di sicuro affidamento. Forse ci vorrà un golletto di uno dei due mattacchioni davanti per completare l'opera.

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