Dove occorre far presto

Una premessa, anzi due. La prima è che le restrizioni economiche sono ineludibili per avviare la ripresa economica italiana e nessun settore può essere risparmiato, anche se, come nel caso dei beni culturali, si tratta di quell’immenso giacimento d’arte che costituisce la ricchezza del futuro.
La seconda: per sua fortuna-sfortuna l’Italia possiede la maggior parte dei tesori d’arte del mondo. Non però concentrati solo nelle grandi città, bensì dispersi in tutto il territorio: una fitta rete di castelli, pievi, certose, conventi, ville settecentesche, ville romane, siti archeologici etruschi, sanniti, greci. Tutti bisognosi di tutela. Quindi di risorse economiche.
Se chi scrive per una volta può fare un esempio pro domo sua, nel borgo medioevale marchigiano di Corinaldo, incluso nel Club dei borghi più belli d’Italia, è a grave rischio di crollo la pieve campestre di Santa Maria che cela al suo interno uno splendido altare del Cinquecento. Ma come destinare i 50 milioni di euro necessari al consolidamento della chiesetta, quando non si trovano i fondi per restaurare, nel centro del paese, la chiesa dell’Addolorata, gioiello settecentesco in pessime condizioni?
Una situazione che si ripete. Chi al di fuori degli abitanti dei luoghi circonvicini conosce Monticelli d’Ongina, paesino sulle rive del Po, incuneato tra le province di Piacenza e Cremona, e dominato dal turrito, castello dei Pallavicino? Il castello è stato ceduto dalla curia al comune che ora probabilmente si domanda che cosa fare di quell’oneroso regalo.
Italia Nostra ha di recente compilato una «Lista Rossa» che ha raccolto le segnalazioni di emergenze arrivate fino ad ora alla presidente Alessandra Mottola Molfino. Sono 147 i luoghi d’arte a grave rischio (in testa il Piemonte con 48). Tralasciando i fin troppo noti casi di Pompei e delle Mura Aureliane di Roma, nella lista si trovano le mura della città-fortezza a forma di stella di Palmanova in Friuli, le celebri ma instabili torri bolognesi Garisenda e degli Asinelli, le mura di San Gimignano in Toscana, la chiesa di Sant’Ignazio al Collegio Romano a Roma.
Marco Magnifico, vice presidente nazionale del FAI, sceglie cinque casi gravi: la Villa Reale di Monza in Lombardia; il centro storico dell’Aquila; il villaggio preistorico di Nola (Napoli) la «Pompei dell’età del bronzo», minacciata dall’innalzamento della falda acquifera; il tempio di Apollo a Selinunte in Sicilia ingabbiato dalle impalcature; il Real Sito di Carditello in Campania, sontuosa residenza dei Borbone, oggi in abbandono.


E come dimenticare (sempre a proposito dei “cattivi” Borbone) la Fonderia Ferdinandea voluta da Ferdinando II in Calabria, eccezionale esempio di archeologia industriale del Settecento? O la Certosa di Calci per la quale la Fondazione Cassa di Risparmio di Pisa, dopo avere speso quasi due milioni di euro in dieci anni, chiede ora il sostegno dello Stato? Ma il ministero dei Beni Culturali non risponde.

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