La Cgil deve più di 77mila euro a una lavoratrice licenziata su due piedi. Non è un «risarcimento» da giusta causa, perché larticolo 18 non si applica al sindacato. Non è neppure un indennizzo come prevedono le norme sulla riforma concordate da governo e parti sociali. Più prosaicamente si tratta di un «adeguamento» allo stipendio non corrisposto negli anni in cui Romina Licciardi, combattiva sindacalista siciliana, prestava servizio alla Cgil dallottobre 1998 allaprile 2010 con uno stipendio «inferiore» a quello che avrebbe dovuto percepire. La Licciardi ha anche chiesto di essere reintegrata: la prima udienza davanti al giudice del lavoro si terrà il prossimo 20 aprile.
La sua storia è emblematica di come il sindacato guidato da Susanna Camusso indossi la maschera da duri e puri solo quando si tratta di stare al tavolo con governo e imprese, mentre a casa propria le regole cambino.
A mettere nero su bianco la manchevolezza del sindacato nella vicenda Licciardi - che assieme agli altri licenziati della Cgil ha aperto il blog licenziatidallacgil.blogspot.it - è stato nei giorni scorsi lispettorato del lavoro del comune siciliano: «La Camera del lavoro di Ragusa ha occupato la Licciardi (...) dal 1998 al 2002 come impiegata, poi come addetta alle politiche del lavoro e alle politiche di genere e dal luglio 2004 allagosto 2009 in aspettativa non retribuita dopo la nomina Cgil a Consigliera di pari opportunità per la provincia di Ragusa, mansioni che ha svolto fino allagosto 2009». In quei mesi, dicono ancora gli ispettori del ministero, ha percepito uno stipendio inferiore a quello «previsto dai regolamenti delle strutture Cgil». Una differenza non da poco: una media tra 5mila e 7mila euro dal 1998 al 2010, con picchi di 21.393 euro nel 1999 e 15.773 nel 2000. Fanno 77.
Il provvedimento è di qualche giorno fa, ma finora la Cgil non ha sborsato un euro. Come fanno, a volte, i peggiori «padroni».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.