E per la Fao la colpa è dei cambiamenti climatici

da Roma

Nel mondo 850 milioni di persone soffrono la fame. Il problema dovrebbe essere al centro della Conferenza della Fao, organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa del settore agroalimentare, che si apre oggi a Roma. Per tre giorni 46 capi di Stato, 169 ministri e circa 3mila delegati, sotto la presidenza del premier italiano Silvio Berlusconi, si occuperanno della questione.
Tuttavia l’argomento-chiave del vertice ha una sua singolarità: cambiamenti climatici e bioenergie. I grandi della Terra saranno chiamati a confrontarsi su alcuni documenti riguardanti gli effetti prodotti dalle variazioni del clima nei Paesi meno sviluppati. Certo, le più recenti catastrofi naturali hanno prodotto disastri in nazioni economicamente molto povere come Thailandia e Myanmar, la desertificazione di alcune aree ha prodotto migrazioni verso i centri urbani spopolando aree rurali e la tutela dell’ambiente ha sempre una valenza importantissima.
Il vero problema, tuttavia, è rappresentato dagli 850 milioni di persone che nel mondo soffrono la fame. Molti documenti preparatori della Conferenza di Roma, invece, si interessano delle politiche per evitare la migrazione dalle zone agricole, della tutela della biodiversità e delle responsabilità dell’agricoltura mondiale nell’emissione di gas serra. «In alcune nazioni produttrici di cereali le cattive condizioni atmosferiche hanno inoltre avuto il loro peso così come la crescita dell’industria di biocarburanti liquidi, che ha assorbito più di 100 milioni di tonnellate di cereali nel biennio 2007-2008», ha dichiarato il direttore generale della Fao, Jacques Diouf, in un’intervista all’Osservatore Romano.
Come nel precedente del Protocollo di Kyoto, a finire sul virtuale banco degli imputati ci saranno gli Stati Uniti, «colpevoli» di destinare circa il 30% della produzione di mais a bioetanolo. Negli incontri preparatori al vertice, infatti, si sono udite proposte come una moratoria di 5 anni sulla produzione di biocarburanti. Ma gli Usa saranno in buona compagnia: anche all’Unione europea qualcuno «tirerà le orecchie» per i sussidi all’agricoltura e i dazi sulle importazioni, ritenuti da alcuni tra le principali cause del mancato sviluppo dei Paesi a economia rurale. «Auspico una rapida conclusione nel 2008 dei negoziati dell’Organizzazione mondiale per il commercio per stabilire un regime agricolo internazionale più corretto e orientato al mercato. Che aiuti prima di tutto i Paesi in via di sviluppo ad aumentare la propria capacità di produzione agricola», ha aggiunto Diouf.
Insomma, la solita guerra di cifre: secondo l’ultimo rapporto della Banca Mondiale la produzione di biocarburanti avrebbe concorso per il 65% all’aumento dei prezzi del cibo nel mondo, per l’amministrazione Bush si tratta solo del 2-3 per cento. Minore attenzione, a quanto pare, è stata riservata all’aumento dei consumi di cereali, carne e prodotti lattiero-caseari in Cina e India, che nel periodo 1993-2020 è stimata in crescita esponenziale. Ma Cina e India in sede Onu (e quindi Fao) sono Paesi in via di sviluppo. Così come marginale è l’attenzione ai processi speculativi in atto sulle materie prime agricole causa ribasso generale dei mercati finanziari (e lo stesso Diouf ne ha minimizzato la portata).


I riflettori saranno perciò puntati sui cambiamenti climatici, sulle emissioni di gas serra, sui processi di deforestazione e sulla conservazione e moltiplicazione delle specie esistenti. Nel mondo, però, 850 milioni di persone muoiono di fame.

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