Passata londata di più che giustificata indignazione, si può e si deve riflettere sulla cultura politica da cui nasce lo sciagurato invito di Prodi a trattare ora con Hamas.
Ci fu un tempo in cui lidea di offrire ad Hamas la possibilità di trasformarsi da movimento terrorista in forza politica legittima poteva essere coltivata come sensata, e in effetti lo fu, sia negli Stati Uniti sia in Israele. Era il gennaio 2006, allindomani della vittoria elettorale di Hamas in Palestina. Allora, discretamente e in parte anche pubblicamente, Condoleezza Rice propose ad alcuni leader di Hamas il coinvolgimento nel processo di pace, a tre condizioni: laccettazione almeno degli accordi siglati in passato dallOlp, il riconoscimento di Israele, e la rinuncia agli attacchi terroristici contro i civili.
Per la verità, in altri periodi della sua storia - quando trattava sottobanco con Sharon - Hamas, o almeno una sua frazione, avrebbe preso seriamente in considerazione unofferta del genere. Nel gennaio 2006 non lo ha fatto, per una ragione essenziale. Ormai Hamas non è più un movimento nazionale palestinese, ma la sua dirigenza è teleguidata dallIran, il cui sostegno finanziario è necessario alla sua stessa esistenza in vita.
Qualunque cambiamento radicale della politica di Hamas dovrebbe essere approvato da Teheran - pena lo strangolamento economico - ed è evidente che né Ahmadinejad né Khamenei hanno interesse alla pace in Medio Oriente. Comunque sia, il tempo è scaduto.
Agli inizi del 2006 è suonata la campana dellultimo giro. Hamas è rimasto fermo (per ordine degli ayatollah iraniani) e ogni possibilità di trattativa è venuta meno. Il golpe a Gaza e la ripresa degli attentati terroristici hanno, evidentemente, sottolineato in colore rosso sangue quanto già si sapeva da oltre un anno.
Delle due luna. O Prodi non sa o non capisce queste cose, e allora i suoi amici e alleati per primi dovrebbero mandarlo a casa perché rappresenta un pericolo per la credibilità internazionale e la sicurezza interna dellItalia. Un argomento a favore di questa prima alternativa è la sua bizzarra accusa allUnione Europea di non avere emanato quella direttiva sui Rom che non solo esiste, ma fu controfirmata proprio da un certo Romano Prodi, allepoca presidente della Commissione di Bruxelles. La seconda ipotesi, più probabile, è che Prodi - come si dice volgarmente - non «ci sia», ma «ci faccia».
In realtà, il presidente del Consiglio sa benissimo che nellagosto 2007 proporre un dialogo con Hamas rafforza il fondamentalismo e il terrorismo, irrita Israele, gli Stati Uniti e anche i presunti amici francesi e tedeschi, che con Hamas non vogliono avere niente a che fare. Tuttavia insiste, per due ragioni strategiche. La prima è - dopo tante figuracce - il tentativo di crearsi uno spazio in Europa come leader di un anti-americanismo islamofilo che ha perso il suo punto di riferimento, Chirac, e che Prodi ha nel suo Dna di cattolico democratico erede di Dossetti.
La seconda è rinsaldare lasse preferenziale con Rifondazione e Comunisti italiani, da sempre amici di Hamas, e così garantire qualche mese di vita in più al suo governo, nonostante i malumori dellultra-sinistra sulla Finanziaria.
Nelluno come nellaltro caso Prodi non ha partner in Europa se non in sinistre radicali e marginali.
E sacrifica gli evidenti interessi internazionali dellItalia alle sue ubbie ideologiche e al suo tornaconto personale. Anche in questo caso, è essenziale mandarlo a casa al più presto.
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