«E il Sud non utilizza gli aiuti europei»

Castelli: «Il Mezzogiorno ha usufruito solo di 6 miliardi sui 30 disponibili. Noi diciamo che il metodo non va e ci accusano di essere contro l’Unione»

«E il Sud non  utilizza gli aiuti europei»

da Roma

Anche se il saldo tra contributi italiani all’Unione Europea e finanziamenti comunitari è costantemente in negativo, invertire la tendenza è difficile se non impossibile. Ne è convinto il sottosegretario alle Infrastrutture ed esperto di politiche Ue, Roberto Castelli. L’esponente leghista, in particolare, lamenta l’isolamento passato del Carroccio su questo tema. Se le generiche accuse di antieuropeismo avessero lasciato il posto a un confronto serio, la situazione attuale sarebbe diversa. La responsabilità, tuttavia, è anche degli amministratori italiani, spesso incapaci di abbandonare logiche assistenzialistiche e utilizzare efficientemente i fondi comunitari.
Sottosegretario Castelli, il saldo Italia-Ue nel periodo 2000-2006 è stato negativo per 22 miliardi di euro.
«Io sono un po’ stupito dello stupore perché i dati erano noti da tempo e solo la Lega s’era beccata dell’antieuropeista. Evidentemente noi lombardi abbiamo questa vocazione e non ci piace dar via i nostri soldi in un momento in cui noi stiamo facendo delle economie durissime e in cui i soldi per gli altri ci sono sempre. Già altre volte l’avevamo detto».
Il problema è che non solo il nostro Paese dà più di quanto riceva, ma spesso non riesce nemmeno a spendere le risorse ottenute. Una caratteristica che accomuna le Regioni meridionali.
«Bisogna ricordare che per quanto riguarda le infrastrutture i Fas (Fondi per le aree sottoutilizzate; ndr) ammontano a 30 miliardi di euro e di questi l’85% va al Sud. Le Regioni “Obiettivo 2”, quelle del Centro e del Nord, potranno utilizzarne solo la parte restante. Il Mezzogiorno, però, è riuscito a utilizzare solo 6 dei 30 miliardi disponibili. Di qui la previsione del decreto legge sulla manovra triennale di riprendere i soldi non spesi per ridestinarli. Se non li spendiamo per l’incapacità della classe dirigente, paghiamo due volte».
Un altro fatto da tener presente è che nazioni entrate di recente come la Romania avranno a disposizione notevoli risorse (32 miliardi di fondi per il Paese dell’Europa orientale nel periodo 2007-2013) senza che vi siano garanzie di trasparenza nella gestione degli stessi.
«Anche in questo caso mi stupisco dello stupore. Si sapeva sin da quando questi Paesi erano candidati che, una volta entrati, le classifiche di assegnazione dei fondi sarebbero state stilate in base ai dati di reddito e questi sarebbero stati privilegiati per quanto riguardo l’accesso a queste risorse».
E quindi?
«Le regole dell’Europa sono queste. Noi della Lega siamo sempre stati vox in deserto clamantis e oggi che abbiamo le regole in corso d’opera è un po’ difficile poter cambiare le cose. Ci potrebbe essere un’azione a livello di ministri finanziari, ma è un’ipotesi».
Eppure il sistema dei fondi comunitari altrove ha prodotto benefici.
«Irlanda e Spagna li hanno utilizzati e hanno avuto dei vantaggi. Noi al di fuori dell’assistenzialismo non riusciamo a esprimerci e perciò dobbiamo recitare il mea culpa».
È dunque troppo tardi anche per una presa di coscienza?
«Questa logica degli aiuti a pioggia nessuno l’ha mai contrastata. Tutti i più alti livelli istituzionali, a partire dai presidenti della Repubblica, non hanno mai messo in discussione il cattivo utilizzo dei fondi europei e adesso ci si rende conto che qualcosa non funziona. Noi siamo stati gli unici a denunciare questa situazione. Anche se ricordo benissimo che il vostro direttore Mario Giordano ha scritto un libro con cui ha iniziato a mettere in discussione il sistema».


C’è qualche misura che l’Italia può intraprendere in sede comunitaria per porre un argine a questa deriva? Soprattutto tenendo conto che la macchina burocratica di Bruxelles ha evidenziato dei difetti di funzionamento.
«Adesso invertire la tendenza è molto difficile. Certo, l’Italia potrebbe tentare di rinegoziare il proprio contributo all’Unione, ma è difficile. Gli impegni presi vanno rispettati».

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