Ecco come i nostri militari conquistano l’Afghanistan

Ponti, scuole, cliniche: gli specialisti del 28° Reggimento Pavia dell’esercito a Herat puntano a far breccia nel cuore della gente

Ecco come i nostri militari conquistano l’Afghanistan

Fausto Biloslavo

da Herat

Due belle ragazze italiane in mimetica, senza velo e col giubbotto antiproiettile, sono sommerse da una folla di ragazzini vocianti nel bazar di Herat. Le donne soldato stanno distribuendo un giornale formato lenzuolo. Anche gli adulti si fermano a prendere una copia della Voce della libertà, la pubblicazione della missione Nato in Afghanistan scritta in inglese, dari e pasthu, le due lingue locali. Altri militari garantiscono la sicurezza delle ragazze, e con qualche parola di farsi, come «buru buru», respingono pacificamente l’assalto dei bambini.
Abdul Baki, un anziano dal turbante bianco, ammette di essere analfabeta, ma con il giornale in mano spiega orgoglioso: «Mio figlio va a scuola e lo leggerà per tutta la famiglia questa sera». Ghulam Farooq coglie l’occasione per protestare contro «l’alto tasso di corruzione negli uffici pubblici», e un paio di giovani dall’aspetto talebano cercano di dissuadere la gente dal prendere il giornale sostenendo «che gli infedeli vogliono imporci le loro idee». Invece la «disseminazione», come viene chiamata in gergo, ha successo, anche se talvolta i fogli del giornale servono per avvolgere la carne di montone. L’operazione nel bazar è una delle tante che l’unità Psyops, del team italiano di ricostruzione provinciale (Prt) di Herat, svolge ogni giorno. Per gli americani Psyops significa «operazioni di guerra psicologica», mentre i nostri preferiscono il termine più morbido di «comunicazione operativa». In soldoni è la battaglia più importante e difficile: conquistarsi il cuore e le menti degli afghani, o quantomeno la simpatia.
I tredici specialisti dell’esercito presenti a Herat fanno parte del 28° reggimento Pavia, di base a Pesaro, che è rinato come la prima unità Psyops italiana. «Prima dobbiamo farci conoscere in quanto italiani e poi veicolare messaggi semplici ed efficaci sulle nostre attività a favore degli afghani. Dove c’era solo il fiume ora abbiamo costruito il ponte, dove avevano solo tende ora c’è la scuola, dove non esisteva nulla abbiamo messo in piedi una clinica», spiega il capitano Francesco Moretti. Giovane, preparato, la barbetta rossa da islamico, pianifica le «operazioni» Psyops, a cominciare dagli spot sulle televisioni locali, per contrastare l’influenza dei canali iraniani, molto seguiti a Herat. L’etnologo Gianfranco Manchia, prestato all’esercito come capitano della riserva selezionata, ha fatto adottare un simbolo solare simile ai petali di una margherita, che unisce l’Italia e l’Afghanistan, identificati con la mappa geografica dei due Paesi. Cinquemila locandine con le foto di scuole, ponti e cliniche costruiti dagli italiani, affiancate dalle immagini desolanti del nulla che c’era prima, saranno affisse nel bazar e nei negozi.
L’unità Psyops si immerge quotidianamente nella realtà locale andando a mangiare con le mani riso e carne di montone, seduti a terra, scalzi e a gambe incrociate, con i capi villaggio e i potentati della zona. «Nelle aree rurali stiamo studiando di portare un sistema di video proiezione campale per spiegare cos’è l’Italia e illustrare le nostre attività sul terreno a beneficio degli afghani», anticipa il maggiore Rodolfo Giovenale, che comanda la squadra. Non solo: dove non arriva l’elettricità, i soldati italiani vogliono regalare delle radio che si ricaricano a manovella per collegarsi all’emittente della Nato, Voice of Isaf, che già trasmette a Kabul e porterà il segnale a Herat. Nel frattempo le ragazze di Psyops distribuiscono buste di plastica con la bandiera tricolore, molto apprezzate per fare la spesa nel bazar. Otre a zainetti tricolori, matite e quaderni, agli scolari afghani, con le foto dei grandi monumenti europei dalla Torre Eiffel al Colosseo, un po’ ritoccato, come se fosse ai tempi dei gladiatori.
«Quando sono arrivata e ho visto le donne con il burqa, l’impatto è stato molto forte.

Poi, incuriosite, hanno cominciato a scoprirsi per guardare bene il mio volto senza velo», racconta Valentina Cardinale, un caporal maggiore di 22 anni, dagli occhi verdi penetranti, che ogni giorno va al bazar, nell’unico ospedale, oppure nelle prigioni fra le detenute.
L’ultima idea della squadra Psyops è regalare migliaia di aquiloni tricolori. Proibito sotto il regime dei talebani, l’aquilone era il simbolo della libertà.

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