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Ecco i super-burocrati che guidano l’Italia

L’inchiesta sugli appalti al G8 ha messo in luce un secondo livello di potere, quello dei tecnici, che lavorano al fianco dei ministri e sono determinanti nelle scelte di governo. Un’élite di funzionari che opera spesso nell’ombra e controlla settori chiave del Paese

Ecco i super-burocrati che guidano l’Italia

Roma - Si fa presto a parlare di «lista Anemone», di personaggi in grado di maneggiare milioni secondo i propri interessi. Si fa presto a cadere nei luoghi comuni come la «giungla dei ministeri». In realtà, ci sono due piani da distinguere nelle amministrazioni pubbliche, politico e tecnico. Anche se tendono a mescolarsi come evidenziato dall’inchiesta sugli appalti al G8. Il problema è individuare i centri decisionali: i ministri sono conosciuti, ma c’è un esercito ristretto di super-burocrati (vedi il grafico a fianco, con i 35 nomi e cognomi tra i più influenti di questo «secondo livello») che hanno molto potere e si muovono quasi come un governo «ombra», lavorando in silenzio.

Partiamo da ciò che è più semplice anche se, a prima vista, non sembrerebbe tale. Il monstrum del ministero dell’Economia è una struttura in cui politica e tecnica si fondono. Al suo ritorno in via XX Settembre il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha ridisegnato tutta l’organizzazione. A partire dal capo di gabinetto, cioè il funzionario che svolge la funzione di raccordo tra l’indirizzo politico e quello amministrativo. È ritornato, dopo la parentesi alle Infrastrutture con Antonio Di Pietro, Vincenzo Fortunato, l’uomo-macchina del super-ministro. Mentre a capo della segreteria tecnica c’è Fabrizio Barca, collaboratore di lunga data. Alla guida del Tesoro e della Ragioneria dello Stato sono rimasti due civil servant che con Tremonti hanno sempre avuto feeling come Vittorio Grilli e Mario Canzio. Con la nomina di Fabrizia Lapecorella a direttore generale delle Finanze e di Attilio Befera all’Agenzia delle Entrate, la politica di bilancio e quella di gestione del fisco sono praticamente diretta emanazione del ministro stesso.

Lo stesso vale agli Interni per Bobo Maroni. Si è avvalso come capo di gabinetto di Giuseppe Procaccini, ex prefetto che lavora al Viminale da circa 40 anni. Ma ha affidato il Dipartimento degli Affari interni ad Angela Pria, sua assistente di gabinetto sia agli Interni nel 1994 che al Welfare dal 2001 al 2006.

Sulla stessa falsariga anche il ministero dello Sviluppo economico, retto ad interim dal premier ma organizzato da Claudio Scajola. Il direttore generale delle Politiche industriali, Andrea Bianchi, è stato «voluto» dall’ex titolare così come il capo dipartimento delle Comunicazioni nonché Mister Prezzi, Roberto Sambuco, è un manager proveniente dal settore privato.

Non sempre accade lo stesso negli altri dicasteri dove la parte politica e quella tecnica collaborano, ma rimangono su piani distinti. È il caso del ministero degli Esteri. Il segretario generale della Farnesina, l’ambasciatore numero uno è Giampiero Massolo. Entrato con Lamberto Dini nel 1996, vi è rimasto seguendo i ministri Ruggiero, Fini e D’Alema guadagnandosi un apprezzamento bipartisan. Massolo è il funzionario che ha l’incarico di coordinare le unità di crisi, monitorare le attività di analisi strategica nonché la stipula di trattati e gli eventuali contenziosi. Alla direzione del Personale è rimasto Giacomo Sanfelice di Monteforte, ambasciatore in Yemen nel precedente governo Berlusconi. Mentre il direttore affari amministrativi Eduardo Brunetti è stato nominato poco dopo l’insediamento di Frattini.

Anche alla Difesa il segretario generale è bipartisan. Il generale di corpo d’armata, l’alpino Biagio Abrata, è stato capo di gabinetto con i ministri Martino, Parisi e La Russa prima di passare all’attuale incarico. Abrata ricopre la funzione amministrativa più importante (si occupa anche degli armamenti), un ruolo non secondario rispetto a quello di capo di Stato maggiore della Difesa. Prevalgono gli esperti anche in Via Arenula.

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, è coadiuvato da un team di magistrati di lungo corso. Come il capo di gabinetto Settembrino Nebbioso, ex pm come Italo Ormanni e Franco Ionta, rispettivamente a capo degli Affari di Giustizia e dell’amministrazione penitenziaria, i due dipartimenti più «caldi».

La burocrazia è questo: la conoscenza delle prassi che regolano l’amministrazione. E storicamente questo ruolo è stato sempre affidato a tecnici. Non sorprende perciò che alle Infrastrutture i capi dei Trasporti terrestri e della Navigazione, Fumero e Lops, siano a Porta Pia ormai da anni. Così come il segretario generale dei Beni culturali, Roberto Cecchi, è da tempo in organico. Il ministro Bondi ha analogamente valorizzato competenze interne come quelle del capo di gabinetto e direttore Spettacolo Nastasi e del direttore Cinema Borrelli. Il problema iniziale, forse, resta irrisolto. Nel senso che al ministro Tremonti si può sicuramente chiedere conto di tutto ciò che accade all’Economia.

Ai suoi colleghi no.

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