Eccovi il mondo «Slow road» Elogio della lentezza al volante

Ingegneri, politici e uomini d’affari: in America nasce il movimento per la guida senza velocità e «al naturale»

nostro inviato a New York
Piano. Curva a sinistra, poi poggia il piede sull’acceleratore. Il freno non serve, qui al massimo si alleggerisce la pressione del piede destro. C’è un’altra curva: accompagnala, col volante che segue la traiettoria. Tranquilli, che la destinazione non si muove. È una questione d’approccio, in fondo. Non è detto che andare veloci significhi arrivare prima. Allora l’America cambia: parte da qua Slow road. Piano, piano. Che non c’è fretta. Anche Slow food cominciò senza ansia: sembrava una follia, adesso ha conquistato il mondo. Così la pensano adesso architetti, ingegneri, politici, produttori di automobili. Insieme per creare l’associazione internazionale della guida senza velocità: vogliono macchine che non possano superare i 120 chilometri all’ora, vogliono interni comodi e rilassanti, vogliono strade che trovino il piacere della curva e del dosso perché se quello è il territorio, allora è così che deve essere. Slow road chiede le strade al naturale, che non significa lo sterrato, pietre e pericoli. Vuol dire asfalto immerso nel paesaggio, significa basta autostrade dritte, infinite e a otto corsie. Quattro possono bastare. Per gli Stati Uniti può essere la fine di un’epoca. Perché qui non correranno, ma adorano le cose giganti e le strade sono immense: un cazzotto nello stomaco, disegni di una matita robusta su una cartina geografica. Per una Interstate si distruggono ettari di alberi, si spianano le colline, si alzano piloni di cemento con diametri di venti metri. Slow road parte e se non è una associazione, è già un movimento battezzato dal New York Times qualche mese fa. Ora comincia a lavorare.
Ora, cioè cinquant’anni dopo l’inizio della storia. Era il 29 giugno 1956 quando il presidente Dwight Eisenhower firmò il Federal Aid Highway Act: fu l’atto di nascita della rete autostradale Interstate, un capolavoro di ingegneria che trasformò, nel bene e nel male, il sistema di vita americano. Perché senza non ci sarebbe stato il sogno: il coast to coast, la libertà. Non ci sarebbe stato On the road. Alcune di quelle autostrade sono ancora oggi leggendarie, come la I-66 che portò Jack Kerouac e compagni da Chicago a Santa Monica, o la I-75 delle Everglades e la I-40 a Memphis, la cui costruzione in zone ecologicamente vulnerabili fece nascere il movimento ambientalista mondiale. In Italia in quello stesso 1956 veniva posta la prima pietra dell’Autostrada del Sole. Ma i 754 chilometri della Milano-Napoli inaugurata nel 1964 impallidiscono a fronte dei quasi 75mila chilometri della rete Interstate che è stata celebrata sei mesi fa da un gruppo di ingegneri, storici della strada, club di automobilisti e un discendente di Eisenhower arrivati dopo 13 giorni al volante lungo la I-80 da San Francisco. Il loro viaggio ha ricreato a ritroso quello fatto dallo stesso Eisenhower nel 1919 quando era ancora un giovane ufficiale dell’Esercito: quella missione, durata due mesi e condotta per lo più lungo strade sterrate, diede al futuro presidente l’idea che l’America avesse bisogno di autostrade.
E autostrade l’America ha avuto. Tante da cambiare il paese. L’Interstate System fu completato negli anni ’60: ha determinato dove costruire case, fabbriche, come trasportare bestiame, frutta, verdura e i nodi della distribuzione. Ha decretato il successo di Tucson, Denver, Atlanta e sventrato i quartieri della middle class di colore a New Orleans. Perché la costruzione dei nastri d’asfalto aveva anche un’agenda occulta razzista: «Spostare i neri fuori dalle città e aprire il territorio a usi migliori». La rivolta contro le autostrade divenne una componente della protesta anni ’60 assieme alle marce per i diritti civili, la guerra alla povertà, il Vietnam. E pur aprendo ogni angolo degli Stati Uniti continentali alla crescita e ai visitatori, le Interstate cancellarono dagli itinerari gran parte del ricco paesaggio dell’America: gli automobilisti, ansiosi di arrivare, presero l’abitudine di fermarsi nei motel e nei McDonald’s spuntati come funghi ai loro margini.
Nel 1956 le autostrade erano la libertà. Oggi sono diventate il simbolo di congestione e ritardi. Il progetto di un raddoppio del sistema Interstate era stato archiviato già alcuni anni fa: al suo posto è stato dato margine agli Stati di costruire strade di tipo diverso. L’ingegneria stradale adesso sceglie di portare in giro gli americani con lentezza. Slow road è arrivato così. Sulle spalle di gente come Tom Warne, capo del dipartimento dei trasporti dello Utah: «Puoi progettare una strada che agevola la mobilità ma che spinge anche a uscire dalla macchina». In Pennsylvania è già pronto il primo progetto. Costerà dieci miliardi di dollari: le nuove autostrade seguiranno l’andamento del terreno, anziché sventrare il paesaggio. Non ci saranno più le sopraelevate. Il New Hampshire ha reimpostato la formazione degli ingegneri stradali invitando anche la comunità ai corsi di aggiornamento. A Meredith, lo Stato ha di recente accantonato dei piani da un milione di dollari per l’allargamento della Route 25, che si intasa ogni estate di turisti diretti al lago Winnipesaukee e alle White Mountains. Si ragiona. Parla Lewis Feldstein, presidente della New Hampshire Charitable Foundation: «Credo che si stia capendo che i trasporti sono una cosa troppo importante per lasciarla agli esperti di trasporti». Feldstein presiede il gruppo di lavoro che ha redatto il piano trasporti decennale del suo Stato. Con lui i rappresentanti della sanità, dei servizi per bambini, ambientalisti, promotori d’affari. A Washington il movimento sta creando contatti per fare lobby sul Congresso. Politici, imprenditori, intellettuali. È una rivoluzione per un paese dove la media di una famiglia è di 1,8 persone, ma la media delle macchine di quella famiglia è di 1,9.

Una rivoluzione che a Indianapolis ha portato l’idea di trasformare in un parco la vecchia Lincoln Highway, prototipo di Interstate che attraversa il White River. Accanto è progettato un sentiero pedonale. Lo finanziano con i fondi statali per la lotta all’obesità. Invece di dare i soldi a Slow food li hanno dati a Slow road. Certe volte coincidono.

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