Un anno dopo l'aumento il piano Saipem non decolla

Pesa il basso prezzo del petrolio: faro su Opec. Buone prospettive da nuove commesse, ma tempi lunghi

Tempi lunghi per Saipem. I piccoli investitori, così come i big player Eni (30,5%), Cdp (12,5%) e Dodge&Cox (6,43%), che avevano il titolo in portafoglio all'epoca dell'aumento di capitale, quasi un anno fa, dovranno attendere ancora almeno un altro anno per sperare di vedere rivalutata la propria partecipazione a Piazza Affari. Dopo i nuovi obiettivi fissati con il recente piano industriale al 2020, infatti, le prospettive degli analisti non lasciano spazio per un recupero a breve.

Troppe le incognite legate alle quotazioni del petrolio e ad un business plan sfidante che non ha del tutto convinto il mercato. E così gli analisti si dividono tra chi considera Saipem un investimento ad alto rischio e chi consiglia di comprare ora le azioni in un'ottica da cassettista tenendo il titolo in portafoglio per molto tempo, e puntando a una rivalutazione dai livelli minimi: quelli di oggi che poco si discostano dai 0,35 euro post-aumento (venerdì ha chiuso a 0,39 euro). Gli analisti di Raymond James, per esempio, hanno limato da 0,36 euro a 0,35 euro il prezzo obiettivo, in seguito alla riduzione delle stime sulla redditività per il biennio 2017/2018 confermando che, secondo loro, il gruppo «farà peggio del mercato». Al contrario, Credit Suisse, vede il titolo a 0,45 e ipotizza la possibilità che si arrivi a 0,7 euro dal 2018 in poi. Come un anno fa, molto dipenderà dall'andamento del petrolio. Ma la strategia del gruppo non avrà minor peso. E lo dimostra il fatto che le azioni Saipem non riescono a «rialzare la testa» dalla ricapitalizzazione nonostante la quotazione del greggio sia passata in area 45-5 dollari dai 25-30 del febbraio 2016.

Il titolo resta, quindi, in balia delle decisioni dell'Opec, del prezzo del greggio e, a cascata, degli investimenti e degli appalti delle major oil. Ma anche riuscire a valorizzare la società ha il suo peso. E su questo punto gli analisti sollevano più di un dubbio. Il piano, che punta a creare 5 soggetti giuridici distinti per ciascuna delle quattro maggiori aree operative, è visto come molto complesso, in particolare per il drilling offshore (perforazione in alto mare): «Una qualsiasi operazione - spiega Credit Suisse - sarebbe ostacolata dai contenziosi legali pendenti che, stando al bilancio 2015, ammontano a 3,5 miliardi di euro e riguardano in particolare l'onshore E&C (progettazione e realizzazione di impianti di produzione e trattamento)». D'altra parte, ci sono anche segnali positivi.

Saipem potrebbe beneficiare della prossima quotazione del colosso Saudi Aramco (già committente del gruppo italiano) che con nuova liquidità a disposizione potrebbe avviare nuovi appalti. Grandi aspettative riguardano, poi, altre commesse come quella che riguarda il gasdotto Turkish Stream, progetto che dovrebbe essere in fase di avvio.

A breve gli occhi sono puntati sul vertice Opec del 30 novembre per definire i dettagli dell'accordo sul taglio della produzione, siglato a settembre. Gli analisti sottolineano che un'eventuale intesa avrebbe comunque un impatto limitato sul mercato. L'Arabia Saudita sta cercando di trovare la sintesi tra i membri dell'Opec affinché si sigli un accordo.

Nel frattempo, però, il Venezuela ha ottenuto un finanziamento di 2,2 miliardi di dollari dalla Cina per incrementare la produzione della joint venture fra Caracas e China National Petroleum. Inoltre, ad ottobre, l'Iran ha superato per la prima volta l'Arabia Saudita come primo fornitore dell'India.

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