Sofia Fraschini
Clausola anti-Tar per l'Ilva di Taranto. Mentre sul fronte politico continua lo scontro tutto interno al Pd che blocca la cessione del gruppo tarantino alla cordata Am Investco, la capofila Arcelor Mittal (azionista con l'88,8%) passa al contrattacco. E si prepara a modificare il contratto di vendita. I commissari straordinari hanno ricevuto una lettera il 21 dicembre in cui il futuro acquirente prepara il terreno per inserire, nel contratto di vendita, una sorta di clausola di salvaguardia.
D'altronde, già nel corso della riunione del tavolo istituzionale dedicato a Taranto, la cordata guidata da Matthieu Jehl aveva anticipato la possibilità che potesse assumere una simile iniziativa per scongiurare i rischi derivanti dal ricorso al Tar avanzato dagli enti locali tarantini. I dettagli della clausola non si conoscono, ma metterebbero al riparo l'acquirente da contestazioni legali in Italia. Nella missiva Am Investco chiede, genericamente, che «a seguito del ricorso contro il Dpcm al Tar di Lecce, si avvii un confronto per valutare modifiche e integrazioni al contratto», firmato nei mesi scorsi. Quali saranno le modalità d'azione, dunque, ancora non si sa. Ma «eventuali oneri straordinari a tutela dell'acquirente non potranno che finire in capo allo Stato» spiega una fonte di settore che non vede altri «garanti» all'orizzonte a meno che Intesa Sanpaolo (che fa parte della cordata acquirente con un 5,6% potenziale) non volesse impegnarsi con un pool di banche.
Anche per questo, i commissari straordinari si sono presi del tempo per valutare la richiesta di Arcelor. «Il ministero dello Sviluppo si terrà in contatto con i commissari», ha detto un fonte governativa. D'altra parte, sul fronte politico, la mediazione continua a fallire e a fare un buco nell'acqua è stato anche l'appello di Paolo Gentiloni: «Ritirate il ricorso - aveva chiesto il premier - e non mettete a rischio interventi per la bonifica ambientale e il lavoro che Taranto aspetta da anni. Da parte del governo c'è piena disponibilità al confronto».
Immobile Emiliano che, a stretto giro, ha chiarito che non ritirerà il ricorso al Tar «a meno che il governo non modifichi il decreto ambientale». In pratica, fa capire Emiliano, questa è l'unica strada per arrivare a un accordo. Ma immediata è arrivata la replica del Mise: «Non può essere modificato senza una legge specifica» e un nuovo Dpcm comporterebbe ripartire con tutte le procedure dall'inizio».
La posizione di Emiliano è netta. Se ne sono accorti anche l'ex premier Matteo Renzi e il ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, che non sono riusciti a fargli cambiare idea. Emiliano si è detto comunque disponibile a incontrare Arcelor: «Ho avuto la disponibilità dell'azienda che mi chiede un incontro, siamo convinti che questo possa garantire la produzione e la salute dei cittadini, meglio di tutte le chiacchiere fatte fino a oggi».
«Il Dpcm del governo che Emiliano vorrebbe bloccare ha replicato il ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti - anticipa le opere di risanamento nei prossimi tre anni e fissa a 6 milioni di tonnellate annue la produzione di acciaio dello stabilimento, cioè quella attuale, fin quando tutte le prescrizioni ambientali non siano state ottemperate. Fermare tutto questo vuol dire assumersi una responsabilità istituzionale grave, quella di mettere a repentaglio il processo di ambientalizzazione dell'Ilva, il futuro dell'azienda e di chi ci lavora».
Una situazione al limite che ha spinto ieri i sindacati ad indire una mobilitazione generale per il 9 gennaio: data che il ministro Calenda ha indicato per il possibile «spegnimento dell'Ilva» se non ci sarà una soluzione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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