Bankitalia, tre vie per il riassetto

Si fa presto a dire «rivalutazione». Si fa presto a dire che il fair value del 100% di Bankitalia detenuti da istituti di credito, compagnie assicurative ed enti previdenziali vale tra «i 5 e i 7 miliardi di euro», come esplicitato dai tre saggi (Franco Gallo, Lucas Papademos e Andrea Sironi) incaricati della stima dal governatore Ignazio Visco.
Il problema è, tuttavia, il come questa teorizzazione potrà tradursi praticamente in una rivalutazione del patrimonio delle banche, in un incremento dei ratio e, soprattutto, in maggiori entrate per lo Stato. Fintantoché il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, non diramerà la nuova normativa (probabile un decreto legge dai tempi più rapidi rispetto al ddl), resteranno in campo tutte le ipotesi finora circolate e anche ai top banker qualche dubbio resterà.
La prima strada che si potrebbe seguire è quella del mantenimento dello status quo. Cioè le quote di Bankitalia restano in capo agli attuali soci e vengono rivalutate: il Core Tier 1 sale e lo Stato incassa circa 1 miliardo di euro ipotizzando un'aliquota del 16 per cento. Secondo quanto affermato da un superbanchiere «questa soluzione sarebbe molto gradita alla Banca d'Italia». Ad esempio, con il 100% valutato 7 miliardi, il Core Tier 1 di Intesa salirebbe di 103 punti superando il 12% e anche la periclitante Carige si metterebbe in regola (anche se sarebbe costretta a una svalutazione di circa 600 milioni). Ca' de Sass, inoltre, iscriverebbe una ripresa di valore di 2,2 miliardi circa.
Bisogna vedere, però, come ha dichiarato di recente il ceo di Intesa (primo azionista con il 42,5%), Carlo Messina, se «ci sarà una computabilità ai fini del patrimonio, diversamente non siamo interessati». Effettivamente gli istituti applicano su Via Nazionale un filtro prudenziale e quell'asset viene escluso dai conteggi. Ora si tratta di capire se la Commissione Ue e, soprattutto l'Eba, accetteranno di computarlo a capitale oppure no. Nel secondo caso, difficilmente le banche accetterebbero di pagare tasse su un cespite che non produce alcun beneficio (dividendi esclusi).
La seconda opzione è quella cui faceva cenno qualche giorno fa il presidente dell'Acri, Giuseppe Guzzetti, e che sicuramente non dispiacerebbe alle Fondazioni azioniste degli istituti di credito. «Se vengono riacquistate le quote, le banche avrebbero un incremento di patrimonio tassabile e sarebbe importante anche per il Tesoro», ha dichiarato. Guzzetti aveva adombrato la possibilità che sia Bankitalia stessa a ricomprare le proprie azioni conferendole poi a una Fondazione in modo da sancire definitivamente la propria indipendenza (status che certa pubblicistica mette in discussione perché partecipata dalle proprie vigilate). Alcuni, infine, pensano - anche in questo caso - a un intervento «salvifico» di Cdp (in realtà improbabile) o dello Stato che potrebbero farsi restituire l'esborso con un maxidividendo.


L'ultima opzione è quella profilata da Saccomanni stesso: «Trasformare le quote in un libero titolo che le banche possono scambiarsi per evitare che alcune banche abbiano quote molto elevate». Questa scelta «sistemerebbe» il patrimonio delle più piccole, ma fare mercato con risorse scarse non è sicuramente semplice.

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