Il petrolio dimezza il suo valore in appena sei mesi e manda in tilt i mercati e i titoli delle major mondiali. Nel primo lunedì nero del 2015 il Brent è crollato a 53 dollari e il Wti è sceso sotto 50 dollari (a giugno l'oro nero che fa da riferimento per il mercato Usa era a quota 107 dollari), segnando il minimo dall'aprile 2009.
Allora impazzava la crisi internazionale causata dalla bancarotta di Lehman Brothers mentre oggi, a sei anni di distanza, pesano nuovi fattori come l'aumento della produzione negli Usa grazie allo shale gas, il «no» dei sauditi a un taglio della produzione, la stagnazione della domanda mondiale e il dollaro forte, che colpisce tutte le «commodities» (petrolio in testa). Per non parlate dell'aumento di produzione in Iraq e Russia, con l'output di Mosca che la scorsa settimana ha toccato i massimi dell'era post-sovietica e le esportazioni irachene salite al picco dagli anni '80.
Una situazione critica che vede gli analisti divisi tra chi si attende un rimbalzo delle quotazioni e chi prevede una ulteriore caduta dei prezzi ricordando che, nel dicembre del 2008, il petrolio crollò fino a 32 dollari. E il copione potrebbe ripetersi se è vero che l'Arabia Saudita - che produce un terzo del petrolio Opec (l'organizzazione dei paesi esportatori) - non è disposta a perdere quote. Anzi, Riyad potrebbe puntare su prezzi bassi anche sul lungo periodo per mettere in crisi i Paesi rivali. Per altro, proprio ieri, ha tagliato i prezzi dell'oil venduto negli Stati Uniti di 60 centesimi al barile alzando, in parallelo, di 60 centesimi, il prezzo del barile destinato all'Asia. Un «gioco» che gli arabi possono permettersi avendo un rapporto debito/Pil al 2,7% e riserve per 750 miliardi di dollari. Produrre un barile di greggio nella penisola arabica, inoltre, costa solo 12 dollari al giorno
E così, in America gli analisti prevedono che questo livello di prezzi inizierà a indebolire le società con elevato debito e partirà un'ondata di M&A che potrebbe rivoluzionare il mondo del major oil. Secondo indiscrezioni, Shell ed Exxon avrebbero già iniziato a ragionare sulla possibilità di muovere verso Bp.
Sul fronte italiano, a farne le spese, sono anche qui i player di settore, per ora solo in Borsa. A Milano, in particolare, l'Eni ieri è crollata dell'8,36% a 13,3 euro. Male anche Saipem (-4,78% a 8,36 euro), Tenaris (-5,39% a 11,76 euro) e Saras (-3,44%). Per Eni, che ieri ha annunciato una nuova scoperta in Congo, la giornata è iniziata con il downgrade di Citigroup che ha abbassato la raccomandazione da neutral a sell e il target price da 16,50 euro a 13 euro.
Il gruppo è percepito in pericolo dagli analisti visto che il break-even (punto di pareggio tra profitti e perdite) si trova in corrispondenza di un prezzo del petrolio pari a 45 dollari/barile. Soglia a cui l'oro nero di sta pericolosamente avvicinando.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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