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Bce accende un faro su Mediobanca

Oggi il via libera alla lista del cda ma crescono i dubbi sulla conferma di Pagliaro alla presidenza

Bce accende un faro su Mediobanca

Quarantadue anni in Via Filodrammatici (oggi Piazzetta Cuccia) prima come semplice impiegato, poi come dirigente, quindi amministratore delegato. Infine, per tre mandati consecutivi (9 anni), presidente. Chi può credere che Renato Pagliaro, nuovamente candidato presidente di Mediobanca nella lista del cda, sia un presidente super partes, tale da rappresentare la sintesi tra le ambizioni dei soci e le pulsioni del management? E per quale ragione l'amministratore delegato Alberto Nagel insiste a volerlo proporre quale presidente, ponendo l'istituto in una condizione di relativa instabilità qualunque sia l'esito del voto assembleare? Semplice impuntatura? Difficile dire. Circostanza comunque curiosa, visto che anche la Bce ha acceso un faro.

Pagliaro è un manager che parla poco, qualità imprescindibile per chi per anni è stato al fianco di Enrico Cuccia. Secondo un ritratto che circola sui social, tempo fa il finanziere bretone Vincent Bolloré lo definì «un uomo che segue molto bene i rischi», cosa che «è molto importante». Marco Tronchetti Provera, ceo di Pirelli, al tempo in cui era vicepresidente di Mediobanca lo reputava «una persona per bene e competente». Insomma, nessuno tra chi ha avuto contatti diretti con lui dubita della sua preparazione tecnica. E tuttavia le rare volte che ha aperto bocca in pubblico non ha mancato di suscitare polemiche e persino ilarità.

A Milano ancora si ricorda l'intervento tenuto nel 2012 davanti agli studenti del liceo Carducci, dove con un lungo monologo sferzò i maturandi promettendo loro un mondo del lavoro fatto di lacrime e sangue. Uno di quei discorsi liberamente ispirati al celebre «connecting dots» (unire i punti) di Steve Jobs, ma per sua sfortuna calato in un ambiente piuttosto disincantato. Ebbene, in un'aula dove il brusio era andato crescendo tra qualche fischio, il presidente di Mediobanca se ne uscì con un «voi non avete alcun diritto al posto fisso, scordatevelo... nessuno ha il dovere di assumervi e all'inizio verrete chiamati a lavorare anche gratis». Non male per uno che è entrato in banca a 24 anni e in quella banca ci sta comodamente da ben 42 anni.

D'altro canto va capito: posto sicuro e stipendio fisso, anzi abbondante. Basti ricordare che nel 2022 il presidente non esecutivo di Mediobanca ha incassato un compenso totale di poco inferiore a 3 milioni di euro (2 milioni 887mila euro per la precisione). Quasi 10 volte la remunerazione media dei presidenti non esecutivi in Italia, il cui stipendio, secondo un report di Assonime, arriva mediamente a 290mila euro. Evidentemente Pagliaro ha portato all'istituto un contributo meritevole di tanto trattamento, sebbene un proxi come ISS abbia stigmatizzato la circostanza scrivendo che la cifra è «eccessiva se comparata agli standard di mercato».

Ciò detto, e nella previsione che al cda dell'istituto convocato per oggi non resterà che approvare la lista di candidati proposta dal comitato nomine, si può dire che i grandi giochi pre-assembleari sono arrivati a conclusione. Ma non prima che Delfin, che ha tempo fino al 3 ottobre, abbia ufficializzato la sua lista che quasi certamente sarà lunga, vale a dire composta da 7 membri.

Salvo quanto detto per Pagliaro, sulla qualità delle figure proposte non c'è granché da aggiungere, se non che si tratta di personalità di profilo alto in entrambe le formazioni. Del resto, il confronto non ha mai riguardato il valore dei singoli consiglieri, bensì il principio di rappresentanza nel cda. Che oltre a essere palesemente violato dal momento che i soci di maggioranza non sono stati consultati sulla sua composizione, viene ulteriormente mortificato dalla scelta di un presidente che indipendente non è. Tutto ciò in spregio alle regole cui si ispirano le grandi banche vigilate, quelle regole che proprio gli uomini di Mediobanca invocano quotidianamente a supporto delle loro tesi.

Se poi si rivelasse vera la circostanza secondo la quale la consigliera indipendente Angela Gamba entrata tre anni fa nel cda di Mediobanca in rappresentanza dei fondi, ha effettivamente collaborato alla definizione dei profili per il completamento della lista del cda, allora varrà la pena di porsi qualche domanda sulla legittimità di certe conferme. Oltre a sollevare dubbi sull'indipendenza della candidato di Assogestioni.

Insomma, il 28 ottobre, giorno fissato per l'assemblea di Piazzetta Cuccia, non è lontano ma c'è tempo sufficiente perchè le manovre in preparazione dell'evento riservino ancora sorprese sull'esito del voto. Secondo previsioni attendibili, lo schieramento Delfin è in grado di mettere insieme un quota che oscilla fra il 33 e il 35% mentre la lista dei manager di Mediobanca viene accreditata di un 40%. E non sono pochi coloro che pensano che assisteremo a una replica dell'assemblea che un anno e mezzo fa vide prevalere la lista del cda al vertice Generali.

Nondimeno, c'è chi sostiene che in questa circostanza giocheranno un ruolo non marginale alcune assenze di soci storici dell'istituto che, sebbene soddisfatti dei risultati economici ottenuti dal team guidato da Nagel, hanno maturato la convinzione che dopo ottant'anni sia giunto il momento della discontinuità anche per la merchant bank più blasonata d'Italia.

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