A colpi ravvicinati di tweet, Donald Trump continua a randellare la Federal Reserve. L'intensificarsi delle bastonature segnala che la Casa Bianca vuole in fretta la resa incondizionata della banca centrale Usa sui tassi. Così, anche ieri il tycoon non ha risparmio la gogna mediatica a quello che è diventato il nemico perfino più nemico della Cina, l'ex pupillo Jerome Powell. Il primo cinguettio trumpiano è propedeutico alla solito refrain anti-Powell: «Come presidente, si potrebbe pensare che dovrei essere elettrizzato dal nostro dollaro molto forte. Io non lo sono!». E di chi è la colpa del greenback ipertrofico? Della Fed, ovvio: «L'alto tasso di interesse della Fed, rispetto ad altri Paesi, sta mantenendo alto il dollaro, rendendo più difficile per i nostri grandi produttori competere su un piano di parità». Altrettanto evidente cosa necessita all'America: «Con sostanziali tagli della Fed (non c'è inflazione) e nessun restringimento quantitativo, il dollaro consentirebbe alle nostre aziende di vincere contro qualsiasi competizione!». Trump pretende insomma a settembre una sforbiciata di almeno mezzo punto del costo del denaro, e verosimilmente un intervento della stessa misura a dicembre, in modo da arrivare alla fine dell'anno con i tassi all'1-1,25%.
In questo modo, nella visione del presidente Usa, l'economia riceverebbe un boot notevole. Anche se la storia recente insegna che l'America, nel periodo successivo alla crisi dei mutui subprime, non ha mai ricevuto uno slancio significativo dagli allentamenti monetari.
Anche le prossime mosse della Bce non sono esenti da rischi. Il Bollettino mensile di ieri conferma che «i dati più recenti e gli ultimi risultati delle indagini congiunturali indicano una crescita in certa misura più debole nel secondo e terzo trimestre del 2019» per l'Eurozona. Pesano i dazi, fattori geopolitici e la vulnerabilità dei mercati emergenti. E l'affanno della manifattura, come confermato dalla frenata dell'industria tedesca, lo dimostra. Un quadro congiunturale che necessita di «un orientamento di politica monetaria altamente accomodante per un prolungato periodo di tempo». Insomma, un taglio dei tassi e il riavvio del quantitative easing, come fatto intendere a luglio da Mario Draghi. Il problema è quando queste misure saranno varate. La riunione del mese prossimo cade il 12 settembre, cinque giorni prima di quella della Fed. Prima di agire, l'Eurotower potrebbe voler vedere quali decisioni prenderà Powell.
Anche perché vanno ben calibrati i due pilastri fondamentali dell'azione di sostegno: stabilire l'entità e gli asset interessati al Qe 2.0; definire il meccanismo del tiering, l'ammortizzatore necessario per non penalizzare ulteriormente la redditività delle banche nel caso venissero tagliati i tassi sui depositi presso la Bce.
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