Un deragliamento della ripresa economica globale a causa dell'inasprirsi delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina. L'allarme arriva dal Fondo monetario internazionale, nel giorno in cui sui mercati sono diventati ancora più palpabili i timori che l'inserimento di Huawei nella black list Usa costituisca un punto di non ritorno nei rapporti fra le due super potenze economiche. A farne le spese sono state soprattutto le quotazioni del petrolio, con il Wti crollato a New York del 6,3%, a 57,53 dollari il barile nonostante l'Arabia Saudita e altri membri dell'Opec+ (i Paesi del Cartello più la Russia e gli alleati) abbiano nei giorni scorsi segnalato l'intenzione di limitare le scorte almeno per tutto il 2019. Immediato è stato l'effetto di trascinamento al ribasso per il settore energetico (-3,5%) quotato a Wall Street (-1,5% a un'ora dalla chiusura). Ma a segnalare burrasca è anche l'andamento dei treasury Usa, protagonisti di un'inversione nella curva dei rendimenti fra i titoli decennali e i Fed Fund, un fenomeno che in genere anticipa di qualche mese lo scivolamento dell'economia in recessione.
L'Fmi non vede ancora così nero, ma avverte che il duello Washington-Pechino, oltre ad avere un impatto negativo sui consumatori dei due Paesi, ha ridotto gli scambi commerciali tra Stati Uniti e Cina senza scalfirne il deficit commerciale bilaterale. Ma ora, «l'ultima escalation potrebbe significativamente minare la fiducia delle aziende e dei mercati finanziari, danneggiare la supply chain globale e mettere a repentaglio la ripresa della crescita globale prevista per il 2019», peraltro già rivista al ribasso, al 3,3%, dall'organizzazione guidata da Christine Lagarde.
Preoccupazioni legittime, alla luce delle accuse velenose che i contendenti continuano a scambiarsi. Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha affermato che Huawei «mente sulla sua collaborazione col governo cinese. Lo richiede loro la legge cinese. E se metti le tue informazioni nelle mani del Partito comunista, è di fatto un rischio reale, per te». Immediata la replica del portavoce del ministero del Commercio dell'ex Celeste Impero, Gao Feng, che ha annunciato la presentazione di una protesta formale contro Washington. «Il governo - ha assicurato - è fiducioso e in grado di proteggere gli interessi legali delle aziende cinesi. La migliore risposta al bullismo degli Stati Uniti è che le aziende cinesi continuino a crescere più forti». E ancora: «Se gli Usa vogliono continuare a negoziare, dovrebbero iniziare col correggere le loro azioni sbagliate».
Un muro contro muro che non promette nulla di buono. Donald Trump ha in canna altri dazi per 300 miliardi di dollari da applicare sui prodotti del Dragone destinati all'export, ma deve muoversi con cautela. Pechino non ha solo deciso immediate misure di ritorsione a ridosso dell'annuncio della Casa Bianca di introdurre tariffe punitive per altri 200 miliardi di importazioni cinesi, ma sta procedendo sul fronte obbligazionario con vendite massicce di T-Bond e starebbe meditando di vietare l'export di terre rare (gli ingredienti fondamentali per far funzionare i cellulari), dalle cui forniture cinesi l'America dipende per l'80%.
Anche Huawei non sembra voler restare con le mani in
mano. Per rispondere allo stop alla fornitura di Android da parte di Google, il colosso delle tlc intende lanciare un proprio sistema operativo al più presto, forse questo autunno e non oltre la primavera del prossimo anno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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