Il processo di assegnazione delle frequenze per le trasmissioni televisive, correntemente chiamato beauty contest, riflette una concezione economica che dista anni-luce da ciò che il Pd e la sinistra italiana hanno imposto al governo Monti, cioè la messa all’asta remunerata di tali frequenze.
Infatti, nell’asta l’obiettivo è solo quello di massimizzare la monetizzazione di un bene, senza alcuna considerazione dell’uso che poi l’acquirente ne farà. Al contrario, in un beauty contest l’obiettivo non è solo limitato al mero valore di mercato, ma mira anche a tutelarne l’impiego e la valorizzazione. Per fare un esempio: se si pone in vendita all’asta un quadro di Raffaello, ci si limita a selezionare l’acquirente che offre di più. Ma trattandosi di un patrimonio dell’umanità, il venditore potrebbe preoccuparsi anche di chi sia l’acquirente e dell’uso che questi intende fare del quadro, e decidere che sia dato al Louvre o alla National Gallery, che lo esporrebbero a milioni di visitatori e ne garantirebbero una conservazione ottimale, piuttosto che a un emiro del Medio Oriente che lo nasconderebbe al mondo.
Si può concepire che in un beauty contest si arrivi ad assegnare un bene gratis, purché chi lo riceve sia ritenuto quello che ne garantisce il miglior uso nell’interesse della collettività. Il presunto «regalo» di frequenze a Mediaset (e a Rai e La7?) è solo una stupida, ignorante e strumentale montatura propagandistica.
La terminologia beauty contest nasce un’ottantina di anni fa quando il padre della macroeconomia John Maynard Keynes, si chiese: che ragione c’è perché un titolo oscilli da un giorno all’altro senza alcun palese motivo? Keynes concluse che il valore delle azioni dipende dalle percezioni soggettive degli operatori in borsa. Per spiegare questo concetto, Keynes prese come riferimento il comportamento dei lettori di un mensile inglese che offriva agevolazioni a coloro tra i lettori che avessero individuato la ragazza più bella, prescelta sulla base di una serie di caratteristiche fissate dall’editore. Notò che la scelta non ricadeva sulla ragazza più bella, ma su quella «percepita» come la più aderente alle caratteristiche dell’editore. Da qui il beauty contest.
Occorre fare qualche precisazione sul valore intrinseco delle frequenze. È altissimo, ad esempio, per gli operatori cellulari per i quali l’entità dei margini di guadagno dipende quasi esclusivamente dalla disponibilità di frequenze di trasmissione, la materia prima su cui lucrare. Nel caso degli operatori televisivi le frequenze sono un contenitore indispensabile ma vuoto, da riempire con costosissimi programmi. Semplificando, per gli operatori cellulari le frequenze sono il core business: tante gliene offri e tante se ne comprano a colpi di miliardi di euro. Per quelli tv sono un’opportunità di guadagno che richiede enormi impegni finanziari ed organizzativi.
Non siamo in grado di dire se fosse lecito o meno il beauty contest con assegnazione gratuita delle frequenze, tra gli altri anche a Rai, La7 e Mediaset, annullato da Monti sotto minaccia di Bersani. Ma in Europa e Usa il processo di digitalizzazione si sta attuando tramite assegnazione di nuove frequenze gratuite ad operatori già esistenti (come, per l’appunto, in Italia Rai, Mediaset e La7). Sarebbe lecito e doveroso farlo anche in Italia per non discriminare le nostre tv rispetto a quelle straniere.
Però vanno valutati alcuni fatti. Da una parte c’è la necessità di allargare il mercato tv a più operatori, molti nuovi entranti per renderlo più competitivo, più dinamico, meglio garantendo la libertà d’informazione, un requisito essenziale della democrazia.
Se facciamo pagare loro queste frequenze, siamo sicuri che ci saranno nuove voci nel coro? E siamo sicuri che gli incumbent operators, cioè quelli che sul mercato già ci stanno, dominandolo con indici d’ascolto e ritorni pubblicitari difficilmente raggiungibili da parte di emittenti neofite ed alle prime armi, non si avvarranno del loro potere economico per far man bassa delle frequenze disponibili lasciando le briciole ai nuovi entranti?
E siamo sicuri che sia regolare, moralmente tollerabile e legalmente costituzionale che un nuovo operatore che si affaccia sul mercato, senza poter contare su un adeguato bacino d’utenza, che spende una fortuna per le frequenze e dieci fortune per riempirle con dei programmi competitivi si ritrovi a dover battere la concorrenza di chi come la Rai ha una decina di reti, il canone ed i ritorni pubblicitari?
(testo tratto da
networkedblogs.com)
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