Economia

I fondi si "prendono" Mediobanca

Istituzionali in maggioranza in assemblea (52%). Nagel: «Bolloré non venderà»

La sede di Mediobanca in piazzetta Cuccia, a Milano
La sede di Mediobanca in piazzetta Cuccia, a Milano

Si rafforza la presenza dei fondi nel capitale di Mediobanca. All'assemblea di ieri, convocata per l'approvare il bilancio d'esercizio chiuso a giugno, gli investitori istituzionali hanno rappresentato la maggioranza (il 52%) del capitale presente all'assise pari al 65,2 per cento. In dettaglio i fondi - tra cui Blackrock (al 5%) e Invesco (al 3,2%) - hanno in mano il 35% della banca guidata da Alberto Nagel, in crescita rispetto al 29,6% di un anno fa. Quando, per la prima volta nella storia di Piazzetta Cuccia, gli istituzionali avevano superato il patto di sindacato (al 28% del capitale) che governa il destino della banca dal 1956 ed è prossimo alla decadenza.

La preannunciata uscita a fine anno di Vincent Bollorè (al 7,9%) dall'accordo parasociale, fa infatti scendere la quota sindacata sotto la soglia minima prevista. «Stando alla lettera di disdetta non credo che Bollorè sia venditore, men che meno a questi livelli di quotazione», ha dichiarato Nagel ai soci in assemblea. Si lavora quindi a un patto biennale «light», sotto al 20% del capitale, che permetta al cda di portare a compimento il mandato e traghettare la banca d'affari verso la struttura, il business e la governance di una public company. Fondamentale sarà la decisione in merito di Unicredit (all'8,4%). Non è un caso comunque che, di fronte ai soci intervenuti in assemblea, lo stesso Nagel abbia più volte sottolineando il concetto di «darwinismo bancario» di cui la controllata retail CheBanca! rappresenta un modello.

Nonostante la volontà di rinnovamento espressa dall'ad, l'attenzione dei soci si è concentrata, ancora una volta, sulla storica partecipazione detenuta in Generali e pari al 13,2% del capitale. Una quota cruciale posto che, il prossimo 7 maggio, il Leone di Trieste sarà chiamato a rinnovare i vertici. Piazzetta Cuccia, secondo il piano industriale in corso, dovrebbe cedere il 3% di Generali entro giugno. Nagel ha tuttavia ribadito come non si tratti di «una prescrizione né di un obbligo ma di un'opportunità» da cogliere ma non certo «in perdita o a valori penalizzanti». Nagel ha, poi, definito l'ipotesi di un incremento della presa su Generali come «antistorica» per la banca d'affari che invece «deve diversificare le proprie attività» e ha ribadito di non aver ricevuto alcuna offerta per il pacchetto del Leone. Peraltro, le famiglie industriali italiane, da tempo stanno rafforzando la presa su Generali: i Benetton sono al 3,05%, Francesco Gaetano Caltagirone al 4,54% e Leonardo Del Vecchio al 3,51% grazie a uno 0,81% acquisito proprio in settimana. E potrebbe non essere finita qui. Tra le poltrone in palio c'è (salvo che il cda decida di modificare lo statuto), quella della presidenza, ora occupata da Gabriele Galateri di Genola, per raggiunti limiti d'età. Lo stesso Nagel ha peraltro notato che il Leone aveva modificato le regole proprio per evitare il ripetersi di casi come quello di Antoine Bernheim, alla presidenza di Generali oltre gli 80 anni. Ma il Leone è anche una delle grandi casseforti di debito pubblico italiano (60 miliardi di Btp) oltre che di un immenso patrimonio immobiliare (per una trentina di miliardi).

Nagel infine si è soffermato sull'andamento del titolo Mediobanca in Borsa ritenuto tutt'altro che soddisfacente (-18% negli ultimi dodici mesi) a causa «del mood dei mercati sul rischio sui finanziari e sul rischio Italia».

Uno scenario delicato posto che, ha sottolineato l'ad, «La Bce senza il governatore Mario Draghi (in scadenza tra un anno ndr), è come il Real senza Ronaldo».

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